Skynet: nasce un robot che viola la prima legge della robotica

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Skynet a un passo da qui

Bisogna essere a digiuno di robotica, ma a dirla tutta anche di letteratura, per ignorare cosa siano le tre leggi della robotica. Teorizzate da Isaac Asimov negli anni ’40, le tre leggi sono un leit motiv della sua letteratura e stabiliscono, nelle idee del romanziere, quelli che sono i dogmi basilari che dovrebbero regolare e regolamentare le libertà delle intelligenze artificiali. Il bello è che le idee e le teorie di Asimov (che tanto bene ha fatto in campo letterario, e resta più che mai consigliatissimo e attuale) sono state un apripista per lo sviluppo e la concezioni delle IA e della robotica in generale, tanto che le 3 leggi sono state estrapolate dalla letteratura di genere e sono diventate un canone dello sviluppo vero delle intelligenze al silicio. O almeno, questa è la spinta, visto che le IA sono oggi così “arretrate” rispetto alla letteratura di Asimov da non essere abbastanza intelligenti da poter apprendere e comprendere le leggi di modo da interpretarle ed applicarle… o almeno fino ad oggi.

Spingere una IA verso le tre leggi è insomma una spinta al progresso tecnologico, come a dire che il punto zero lo si otterrà se e solo se una macchina (e relativa intelligenza) riusciranno quanto meno ad impararle senza alcun input meccanico (leggasi: senza che l’uomo le obblighi a rispettarle). Proprio perché la spinta è concreta ed evidente fa clamore all’interno del settore la nascita di un robot, realizzato e costruito dall’esperto di robotica (e artista) Alexander Reben, capace per l’appunto di violare la prima legge che, in base alle varie traduzioni, fondamentalmente afferma quanto segue: “un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno”.

Come capirete, dunque, Reben è riuscito nell’intento di creare una macchina capace di ferire deliberatamente un essere umano. Si tratta fondamentalmente di un braccio automatizzato alla cui estremità c’è un ago, e che è posto dinanzi ad un sensore in cui la persona di turno può poggiare il suo dito. A questo punto la macchina si rende conto dell’interazione umana e può scegliere, come no, di ferire il suo interlocutore bucandogli il dito con l’ago di cui è munita.

 

“Non ho creato un robot con l’intento di ferire il prossimo.” – ha affermato Reben nel corso di una intervista – “Volevo semplicemente uscire fuori dagli schemi mentali che ci si pone nel settore e costruire qualcosa di reale così che mi ci potessi confrontare. Se una cosa esiste non puoi ignorarla, diventa urgente e devi affrontarla”.

Lo scopo di Reben è stato dunque quello di progettare e costruire un qualcosa che, ad oggi, era stato solo ipotizzato, onde evidenziare alla comunità scientifica la necessità di confrontarsi con il tema dell’autonomia delle IA, un tema oggi più caldo che mai specie grazie ai passi compiuti nel campo dell’automazione e della robotica, soprattutto in campo militare in cui la dronistica, e i sistemi balistici regolati da intelligenze artificiali cominciano ad avere le prime, concrete, sperimentazioni. Proprio negli ultimi anni la comunità scientifica sta vivendo un gran fervore in merito alla questione, pur ottenendo risultati che non sono equiparabili ai risultati sperati. La morale, anche quando appoggiata da personaggi del calibro di Stephen Hawking (che aveva aderito al movimento d’opinione lanciato, sul tema, dalla Future for Life Institute) pare oggi insufficiente per combattere il profitto, che specie nel mercato degli armamenti è più florido che mai.

Sebbene i sistemi intelligenti di oggi siano comunque ancora in mano alle decisioni umane (attualmente non esiste macchina che possa deliberatamente scendere in guerra) è lapalissiano che si sia sulla strada per squarciare quel velo di Maya che esiste tra “semplificazione” e “automazione”. Reben, nella semplicità di un ago che buca un dito in modo autonomo e senziente, vorrebbe smuovere l’opinione pubblica: occorre pensare oggi a quelli che potrebbero essere i problemi di domani. Problemi nati dalla volontà dell’uomo di difendere sé stesso: una “ragione” su cui si muovono gli eserciti e le politiche, e con essi troppo spesso le armi. Ma del resto si sa… il sonno della “ragione” genera mostri.

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