L’incontro con: Davide Sacco regista de ‘Il Grande circo degli incornati’

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Intervista al regista de ‘Il Grande circo degli incornati’.

Davide Sacco è il giovane regista che ha messo in scena l’opera ‘Il Grande circo degli incornati’, che repliche in diversi teatri italiani e presentato nell’ambito della rassegna ArteFiera al Teatro Sannazaro.

Molto particolare l’impostazione di questa performance, dove la vena politica scorre nell’affrontare un tema come quello della mancanza delle sovvenzioni. Ha preso il coraggio a piene mani per scuotere il sistema cultura?

Brecht lo aveva fatto molto meglio e molto prima di noi.

Sembra come se tutti sappiano e nessuno dica nulla.

Sì è una cosa giusta, tutti lo sanno da sempre. La gouache dell’oleografia di Napoli non rientri nel mio interesse. Non riesco ad attaccarmi a nulla che non mi permetta di dire la mia, perché nella vita, la nostra, in qualsiasi forma dobbiamo sempre dire la nostra ed essere cittadini del nostro tempo. Vivendo nella nostra epoca, seppur nella sua difficoltà, è giusto che ci sia anche un altro modo di vivere. Rispetto al testo in sé e per sé, nudo e crudo, dove facciamo sempre tanto di cappello all’autore, lavoriamo semplicemente per creare qualcosa di bello, ma soprattutto di utile. Un bello che ti lascia la bellezza dentro e permetta di costruirla in una maniera o nell’altra. Crescere, cambiare, avere una percezione di idee, poi se positiva o negativa questo è un de gustibus, è la storia personale di ognuno di noi. Però fa nascere una domanda, un dubbio, un punto interrogativo.

Quale domanda vuol spronare a formulare? Parlare di questa crisi, delle sovvenzioni dello spettacolo?

Io voglio sempre dire che dietro il mondo dello spettacolo ci sono lavoratori, come i lavoratori di una azienda, di una fabbrica, sono quelli di un teatro. Il teatro e tutte le forme d’arte sono imprese, dove i lavoratori hanno figli a carico con caratteristiche logistiche e di vita. Sono vittime di un buon e cattivo tempo, di assensi o dinieghi, di certi altri cappelletti molto più grandi di noi, più viscidi se non macchiavellici. Non è giusto che il teatro non venga considerato come un settore di impresa, come quelle imprese i cui lavoratori sono scesi in piazza due settimane fa per il posto di lavoro. Al pari suo siamo anche noi, perché non c’è un noi ed un voi, perché il lavoratore è un lavoratore, il cattivo politico è un cattivo politico, il cattivo ministero è un cattivo ministero. Con il grande particolare che oltre la logistica del buon amministrare ed il non buon amministrare, il teatro è vittima anche di un de gustibus anche questo utilizzato a pro e contro. Anche il de gustibus stesso è divenuto vittima di un sistema di sovvenzionamento dove attorno ci sono cose non positive, ci sono tante mani sulla città, come descriveva benissimo Rosi. Il nostro settore è molto simile, non cambia di molto. Brecht lo diceva con valori diversi, a suo tempo, lui faceva un discorso un pò diverso, però non è molto lontano da quello odierno. Petito lo diceva ancora prima, che c’era un teatro di serie A ed uno di serie B. C’è il lavoratore di serie A ed il lavoratore di serie B, il teatro è un lavoro di serie B. Non è giusto se questo lavoro, questa arte è tra quelle che può aiutare a salvare il mondo, quello che diceva Dostoevskij, la bellezza che salverà il mondo.

Cosa può dirci circa l’introspezione dei personaggi che raccontano la propria storia e le musiche con i testi che riportano a Dario Fo?

La musica è un mio modo di comunicare, in generale è da un pò di tempo che il mio modo di fare teatro ha bisogno di esprimersi anche in musica come complemento. Mi interessa molto riportare al genere della commedia musicale, che è un’altra cosa rispetto al musical, è una nostra tradizione, molto bella, che sto tentando di riprendere, insieme col teatro canzone che sono binari molto simili però hanno delle caratteristiche leggermente diverse. E’ un linguaggio cui mi interessa attingere e sviluppare, trovandomi molto bene. Mi circondo di molti amici musicisti che mi danno una mano a sviluppare togliendomi le lacune musicali. Circa l’introspezione dei personaggi mi interessa far capire che ognuno di essi si è salvato grazie al circo/teatro. Non è qualcosa di molto lontano, se uno cammina un po’ per teatri parlando col custode o l’attore, scopre che tanta gente si è salvata grazie al teatro, salvandosi ognuno secondo un proprio modo. Rispettano il luogo teatro, come se rispettassero qualcuno che gli ha salvato la vita, come un custode. Una riconoscenza verso questa cosa strana ma che sappiamo benissimo della sua azione. Io penso a tutte le situazioni di associazionismo culturale che sono in certi bronx del mondo, vengo da Torre Annunziata per cui  conosco benissimo ciò di cosa parlo, ce ne sono tantissime. Credo molto nel far capire che dietro questo mondo ci sono singole persone, con singole storie.

 

Fonte foto: Pasquale Fabrizio Amodeo

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