Perfetti sconosciuti. A proposito di coppie

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Perfetti sconosciuti, il nuovo film di Paolo Genovese, che sembra essere incentrato su quanto un oggetto tanto utile ed inseparabile come lo smartphone, possa talvolta diventare dannoso a causa dell’improprio utilizzo

Ho visto al cinema Perfetti sconosciuti, il nuovo film di Paolo Genovese che ha stimolato diverse riflessioni in me così come accadrà sicuramente ad ogni psicoterapeuta di coppia che guarderà questo film.

La prima riflessione attiene al fatto che l’intero film sembra essere incentrato su quanto un oggetto tanto utile ed inseparabile come lo smartphone, possa talvolta diventare dannoso a causa dell’improprio utilizzo, cancellando qualunque tipo di comunicazione autentica.
Il film, infatti, inizia quando, nel corso di una cena, un gruppo di amici (tre coppie più uno che arriva da solo) si convince di iniziare un gioco per cui tutti devono mettere il proprio telefono sul tavolo ed accettare di leggere sms, chat, whatsapp, mail o ascoltare telefonate in viva voce, pubblicamente, solo per la durata della cena. In questo modo, il regista introduce a ciò che solo apparentemente sembra essere un passatempo innocente, ma che a poco a poco, in un crescendo emotivo, rende gli spettatori protagonisti di un vero e proprio gioco di tensione: ogni personaggio, superato il confine tra cosa è giusto e cosa è sbagliato, ha un segreto da nascondere ed invece di condividerlo con le persone della sua vita, preferisce affidarlo a quella “scatola nera” (così vengono definiti i cellulari nel film) che ha completamente stravolto il modo di vivere e di relazionarsi delle persone.

La seconda riflessione è andata poi verso l’utilizzo ludico ed allo stesso tempo pericoloso, dei nuovi “facilitatori di comunicazione”; nello specifico: quante coppie “scoppierebbero” se uno dei due guardasse nel cellulare dell’altro? È sconcertante la superficialità con cui (quasi) tutti affidano i propri segreti a quella scatola nera che è il proprio smartphone (anche tablet e pc) credendosi moderni e pensando di non andare incontro a conseguenze, o peggio ancora, flirtando con quelle conseguenze per rendere tutto più eccitante. È proprio ciò che accade ai “perfetti sconosciuti” di Genovese che in realtà si conoscono da una vita, si reggono il gioco a vicenda e fanno fin da piccoli il gioco della verità, ben sapendo che di divertente in certi esperimenti c’è ben poco. Personaggi “adulti” che si rivelano in realtà immaturi, incapaci di mettere in discussione la vita di “facciata” che si sono costruiti. Aspetti che sono proiettati su uno schermo ma che sempre più di frequente si riscontrano nella realtà.

Come si spiega tutto questo?

La terza riflessione mi ha spinto nella stanza della terapia. Per chi come me lavora con le coppie, negli ultimi anni è diventato sempre più frequente incontrare problematiche che denunciano la fragilità stessa della relazione: la mancanza di desiderio, presente non solo a livello sessuale, ma anche ad un livello più profondo, come mancanza di desiderio dell’apertura verso l’altro. Già partendo dal linguaggio possiamo individuare profondi cambiamenti:” Non siamo più connessi”, oppure “Non mi sento più connesso a lei/lui”. Utilizzare la parola “connessione” al posto di “relazione” già denota la liquidità della nostra società attuale; termine utilizzato dal sociologo Bauman per descrivere il senso di precarietà e incertezza, la rapidità dei cambiamenti, la frenesia del consumismo, il dissolvimento delle certezze dei punti di riferimento. Le relazioni diventano sempre più di breve durata e tutto ciò ci fa sentire sempre più soli, ci fa divenire sempre più egoisti. Tali caratteristiche sociali danno forma alle relazioni interpersonali, che diventano allora connessioni che connettono a una rete di contatti ai quali ci si può rapidamente collegare e altrettanto rapidamente scollegare, con la massima “libertà” e nel reciproco disimpegno.
Le connessioni sono “relazioni virtuali” e a differenza di quelle vere sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare. Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all’inerzia e alla pesantezza di quelle vere. Allora anche l’amore diventa “liquido”: relazioni usa e getta, crisi permanenti, amori via chat, sms, e-mail, esattamente come accade ai personaggi del film.
La sofferenza dello stare insieme che caratterizza la maggior parte delle problematiche di coppia seguite nei nostri studi professionali è contraddistinta appunto dall’ insoddisfazione. Ci sono coppie che vivono la relazione come limitazione intollerabile alla propria libertà e coppie all’interno delle quali la relazione assume un valore esclusivamente formale, come un rigido distributore di ruoli e di identità dove non esiste la condivisione di desideri, bisogni, attese. Sembra che il film rappresenti molto bene questo senso di angoscia e precarietà della relazione con l’altro. È un’illusione di vita, attraverso un’illusione di legame che porta i protagonisti ad una calma apparente, “come se niente mai fosse accaduto”.

Infine, attraverso il film, ho potuto riflettere sulla ri-contrattazione della parità nella relazione (dal punto di vista economico, decisionale, affettivo), sull’ importanza dell’ apertura al contesto esterno (agli amici nel caso del film), sulla complicità nell’intimità e nella relazione affettiva (fintamente presente tra i perfetti sconosciuti) e sulla presenza di una progettualità come possibili ingredienti per arginare una deriva che riguarda le problematiche della coppia.

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