‘Il treno dei bambini’ di Viola Ardone, “a volte ti ama di più chi ti lascia andare che chi ti trattiene” (Recensione)

Di libri ne leggo tantissimi, per amore e per lavoro. Negli ultimi anni ho iniziato ad apprezzare particolarmente quelli ambientati a Napoli e dintorni: Ferrante, Marone, De Giovanni, Oreste, Imperatore: sugli scaffali della mia libreria ci sono un po’ tutti gli scrittori partenopei. Durante le festività natalizie mi sono regalata ‘Il treno dei bambini’ di Viola Ardone (Einaudi Stile Libero), romanzo che mi ha condotta nei vivaci vicoli di Napoli del secondo dopoguerra.

‘Il treno dei bambini’: quel progetto di grande solidarietà sconosciuto

Pur avendo ascoltato da mia nonna e dai miei genitori decine e decine di racconti relativi alla vita del periodo della Seconda Guerra Mondiale e dell’immediato dopoguerra, confesso che mi era completamente sconosciuta “la storia dei treni”.

La Ardone la racconta attraverso la voce narrante di Amerigo, un bambino di 8 anni. Negli anni dell’immediato dopoguerra il Partito Comunista diede via ad un grande progetto di solidarietà. Le famiglie partenopee che vivevano in condizioni di estrema povertà ebbero, in quegli anni, la possibilità di mettere su “treni speciali” i loro bambini. Ad attenderli c’erano famiglie dell’Italia centrale, soprattutto dell’Emilia Romagna. Si trattava di gente semplice,  non benestante; famiglie di contadini che però potevano permettersi di mettere il piatto a tavola due volte al giorno. Nel quinquennio compreso tra il 1945 ed il 1950 partirono circa 70.000 bambini. Un vero e proprio esercito!

“Mia mamma avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri Spagnoli mia mamma cammina veloce; ogni passo suo, due miei. Guardo le scarpe della gente. Scarpa sana: un punto; scarpa bucata; perdo un punto. Senza scarpe:zero punti. Scarpe nuove: stella premio. Io scarpe mine non ne ho avute mai, porto quelle degli altri e mi fanno sempre male. Mia mamma dice che cammino storto, Non è colpa mia. Sono le scarpe degli altri. Hanno la forma dei piedi che le hanno usate prima di me. Hanno pigliato le abitudini loro, hanno fatto altre strade, altro giochi. E quando arrivano a me, che ne sanno di come cammino io e di dove voglio andare? Si devono abituare mano mano, ma intanto il piede cresce, le scarpe si fanno piccole stiamo punto e a capo.”

Il treno dei bambini

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Trama: È il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione di Napoli e sale su un treno. Insieme ad altri bambini meridionali attraverserà l’intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un’iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l’ultimo conflitto. Con lo stupore dovuto alla sua età, ma anche alla sua vita inizialmente priva di scolarizzazione, Amerigo racconta le vicende della sua crescita, dolorosa e al tempo stesso fortunata.

“Perché? Chi ti manda via ti vuole bene? Amerì, a volte ti ama di più chi ti lascia andare che chi ti trattiene”.

Il treno dei bambini è un romanzo di grande intensità. Lo stile dalla Ardone è semplice, ma convincente. Duecentotrentatre pagine in cui si alternano forza e delicatezza, ironia e malinconia, e si incontrano personaggi straordinari come la Zandragliona, Capa ‘e fierro, la Pachiochia.

La Ardone utilizza, non solo nei dialoghi, ma anche nella narrazione, forme dialettali comprensibili a tutti, che conferiscono alle pagine del romanzo i colori, i rumori, i profumi ed i sapori di Napoli.

Mi ha raccontato poi la Zandragliona che quando Maddalena andò a parlargli del treno, il solachianiello decise di fare partire proprio Mariuccia , perchè gli altri erano maschi e gli potevano servire per lavorare e invece lei non era ancora capace nemmeno di scaldare due maccheroni sul fuoco e adesso come adesso non serviva proprio a niente.”

Una lettura di quelle che non si dimenticano.

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