I due papi: trama e recensione


Altra operazione di notevole qualità per Netflix, che dal 20 dicembre scorso ha reso disponibile sulla sua piattaforma il film “I due papi”. Un lungometraggio confezionato con cura e sapienza, che ci porta all’interno della Cappella Sistina, naturalmente ricostruita, con Papa Benedetto XVI (Anthony Hopkins) e Papa Francesco (Jonathan Pryce) per raccontarci il loro rapporto e la storia del loro avvicendamento al pontificato nell’anno 2013.

I due papi

Il tutto nasce da uno spettacolo teatrale (“The pope”) scritto da Anthony McCarten, che ha realizzato la sceneggiatura tradotta poi in immagini dal regista Fernando Meirelles. La storia scava nel passato di Papa Francesco ma il primo turning point si ha quando nel 2012 quest’ultimo chiede a Papa Benedetto XVI di dimettersi da cardinale. Non si ritrova nella direzione in cui la Chiesa sta andando, guidata da un papa il cui pensiero è completamente diverso dal suo. L’incontro dei due  a Roma darà vita ad un confronto/scontro affascinante che opporrà principalmente la tradizione al progresso. Come è finita poi lo sappiamo tutti, come ci si è arrivati sarà una sorpresa per molti.

I due papi – Recensione

Manca il racconto della giovinezza di Ratzinger ai tempi di Hitler, così come un approfondimento sui temi della pedofilia e dell’omofobia. La notevole somiglianza dei due attori protagonisti con Papa Benedetto XVI e Papa Francesco alimenta la suggestione e la credibilità di questo film, a tratti spietato con il primo attraverso dialoghi più che pungenti.  Dialoghi che insieme alle performance di due grandi attori sono uno dei punti di forza indiscutibili de “I due papi”, corrosivi eppure così pieni di umorismo intelligente. Ratzinger verrà redento solo sul finale, nella scena in cui si reca in una Cappella Sistina gremita di visitatori tra l’incredulità generale. A questo punto il suo estremo rigore verrà finalmente smontato dai selfie e dalle foto sfocate e imperfette scattate con gli smartphone. La musica e il calcio giocano un ruolo determinante nell’avvicinamento dei protagonisti ,che porterà entrambi a cambiare in qualche modo.

Meirelles sceglie di mostrare i ricordi in bianco e nero in formato 4:3 e opta per uno stile visivo da reportage documentaristico, con zoom improvvisi, aggiustamenti della macchina da presa e fuochi persi improvvisamente. Ciò per dare ancora di più l’impressione agli spettatori di star spiando i due papi. Per il resto è innegabile l’influenza di “The Young Pope” di Paolo Sorrentino (vedi Dancing Queen degli Abba nella colonna sonora) e forse anche di “Habemus Papam” di Nanni Moretti. Con un importante sguardo all’attualità, che apre e chiude il film: Bergoglio che decide di volare a Lampedusa facendosi aiutare da una guarda svizzera a prenotare un biglietto unico on line.

Girato anche a Roma e alla Reggia di Caserta, il film può vantare già quattro candidature ai Golden Globe del prossimo 6 gennaio per il miglior film drammatico, il miglior attore in un film drammatico per Jonathan Pryce, il miglior attore non protagonista per Anthony Hopkins e la migliore sceneggiatura per Anthony McCarten. Ed è certamente da annoverare tra le opere da ricordare e salvare di questo 2019 appena terminato.

 

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