Lontana ormai anni luce da “Il diario di Bridget Jones”, Renée Zellweger ci regala una grandissima interpretazione di Judy Garland nell’ultima drammatica parte della sua vita
Judy – Trama
Dopo quattro divorzi e con a carico due figli che porta sul palco con sé per 150 dollari in un periodo non certo facile della sua carriera e della sua esistenza, Judy Garland (Renée Zellweger) decide di accettare una serie di concerti a Londra al “The Talk of the Town” nel 1968, lì dove viene ancora amata e venerata come una grande star. D’altronde non ha scelta: non possiede una fissa dimora e ciò ne mette a rischio la custodia dei figli, dietro pressione dell’ex marito Sydney Luft (Rufus Sewell, star della serie “L’uomo nell’alto castello”). È a questo punto che Judy deve fare i conti con il suo passato di ragazza prodigio dell’epoca d’oro del cinema americano, ingaggiata decenni prima da Louis B. Mayer. Il quale la imbottiva di pillole per tenerla sempre sveglia e farla mangiare il meno possibile. Queste abitudini influiranno negativamente fino alla fine, soprattutto dopo la rottura con il suo ultimo marito e manager Mickey Deans (Finn Wittrock). Le uniche amicizie vere che rappresenteranno la sua famiglia in questo ultimo frangente della sua vita sono una coppia di fan inglesi omossessuali con cui passa serate in allegria e Rosalyn Wilder (Jessie Buckley), che si prese cura di lei durante il soggiorno a Londra.
Recensione
La stessa Wilder ha dato il suo contributo alla sceneggiatura firmata da Tom Edge e ispirata dalla pièce teatrale “End of the Rainbow” di Peter Quilter. L’arcobaleno di questo titolo è lo stesso del film “Il mago di Oz” datato 1939, nel quale Judy Garland cantava la leggendaria “Over the rainbow”. Il regista Rupert Goold ci restituisce senza esasperarla oltre il dovuto la sofferenza di un’artista che non poteva fare a meno del palcoscenico e di quelle luci della ribalta che pure la avevano destabilizzata permanentemente. Attraverso il racconto dell’inizio e della fine della carriera di Judy Garland allo spettatore arriva tutto il talento e la fragilità di una donna vittima dello star system. Di cui ha scelto di far parte da ragazzina forse senza comprenderne fino in fondo le conseguenze, ammaliata dalle parole di Mayer che nella scena iniziale del film le dice guardando in macchina: “Sono uguali a te solo nell’aspetto”. Lo stesso sguardo in macchina sarà ripetuto da Judy-Zellweger prima di uscire di scena tra i fischi e gli insulti di Londra, in una di quelle serate in cui la cantante si presenta sul palco più alterata del solito dall’alcol e dagli psicofarmaci.
Probabilmente senza la monumentale prova dell’attrice protagonista, che ha speso 18 mesi prima della lavorazione insieme ad un vocal coach per imparare a parlare e cantare proprio come Judy Garland, il film si sarebbe sgonfiato oltre le previsioni. Anche perché è per gran parte costruito sulla mattatrice Zellweger (in nomination agli Oscar come miglior attrice insieme al miglior trucco di Jeremy Woodhead), che riproduce in maniera deliziosa un’anima tormentata con i suoi tic, le sue nevrosi e una mimica fenomenale. Ma “Judy” resta di fatto un lungometraggio affascinante e ben realizzato, con buona pace della figlia illustre della Garland, Liza Minnelli, che si è perfino rifiutata di guardarlo.