Il caucus in Nevada vede il trionfo di Bernie Sanders


Il senatore del Vermont Bernie Sanders ha stravinto il caucus dei democratici del Nevada. Con il 46,6% dei delegati del partito, si è confermato primo con un ampio margine di distacco dagli altri sfidanti. Al secondo e terzo posto sono arrivati rispettivamente Joe Biden con il 19,2% e Pete Buttigieg con il 15,4% dei delegati, quarta la senatrice Elizabeth Warren con il 13,6% e quinta, Amy Klobuchar con l’8%.

 

Come funziona il caucus del Nevada

Il caucus del partito democratico in Nevada è un “caucus chiuso”. Tuttavia, come recita il regolamento “Qualsiasi persona che abbia diritto a votare nello stato del Nevada e avrà almeno 18 anni il giorno delle elezioni, il 3 novembre 2020, può partecipare […]. Gli elettori possono registrarsi o modificare l’affiliazione al partito nel giorno del Caucus o al loro luogo di voto anticipato di persona.”

Come per altri caucus democratici, gli elettori si riuniscono in gruppi di preferenza per ciascun candidato. Per giungere alla distribuzione dei delegati risulta necessaria una soglia minima del 15% in ciascun distretto. Inoltre, a differenza del caucus dell’Iowa, risulta vietato “razziare” agli altri candidati i delegati. Un processo simile si verifica anche nella convention della contea; sebbene i delegati presentino dichiarazioni di sostegno per il candidato prescelto, essi sono tecnicamente non legati fino alla convention statale.

 Il peso determinante dei latinos

Per la vittoria di Sanders determinanti sono stati i voti dei latinos che, nel solo distretto del Las Vegas hanno rappresentato il 45% del totale delle preferenze a suo favore. Un risultato da considerare, con buona probabilità, effetto di una campagna elettorale che dell’attenzione alle condizioni economico-sociali dei cittadini americani di origine ispanica (cui è e stata rivolta un’efficace e capillare pubblicità elettorale in spagnolo) e, più n generale, dei ceti meno abbienti della società, ha fatto il suo leitmotiv. La vittoria di Sanders, inoltre, acquisisce ancora maggio peso se si considera che il più rilevante sindacato del Nevada, quello degli operatori alberghieri, gli aveva voltato le spalle perché fortemente contrario alle sue promesse elettorali in salsa socialista (come il Medicare for all che potrebbe far perdere alla suddetta categoria di lavoratori l’assicurazione sanitaria risultato di anni di lotte).

Sanders si è così aggiudicato un’alta affluenza ai caucus, ed è riuscito ad affermarsi con una percentuale maggiore che nell’Iowa e nel New Hampshire, dove ha ricevuto rispettivamente il 26,5% e il 25,7%. E tuttavia, mentre esce dal caucus del Nevada con l’etichetta di “front runner”, la maggioranza dei voti ancora non è riservata a lui, ma agli esponenti dell’ala centrista e moderata che risulta però divisa tra vari candidati.

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Gli altri candidati e il commento di Trump

Gli altri candidati, intanto, stanno riorganizzando le loro forze in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, in particolare del Super Tuesday che si terrà il 3 marzo e che vedrà il voto contemporaneo di 14 stati. Joe Biden ora punta ora tutto sul South Carolina (al voto 29 febbraio) cercando di apparire come il candidato anti-Sanders e anti-Trump, mentre Elizabeth Warren, nonostante il pessimo risultato dei caucus, è riuscita a fare incetta di donazioni raccogliendo 14 milioni di dollari in pochi giorni. Pete Buttigieg continua intanto sulla sua strada di candidato di centro, cercando di erodere voti agli altri e attaccando Sanders per il suo essere fautore di una rivoluzione “ideologica inflessibile che esclude molti democratici per non parlare di quanti americani”. Anche Michael Bloomberg, nonostante la sua discesa in campo “ufficiale” non sia ancora avvenuta, si è scagliato contro Sanders sostenendo che sarebbe un “errore fatale” tributargli la nomination per le presidenziali 2020.

Delle divisioni in campo democratico ne approfitta nel frattempo l’attuale presidente Donald Trump, il quale sarcasticamente si è congratulato con Sanders invitandolo a mettersi in guardia dalla possibilità che i democratici, come accaduto nel 2016, possano strappare alla fine la sua nomination. Inoltre ha alimentato le polemiche circa presunte interferenze russe volte a favorire, con campagne social e fake news, la vittoria del senatore del Vermont, considerato il candidato meno temibile per le prossime presidenziali.

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