The head – In una stazione scientifica del Polo Sud chiamata Polaris VI si tiene una festa per la fine della stagione estiva, dopo la quale la squadra invernale rimarrà lì a lavorare per sei mesi. Il comandante Johan Berg (Alexandre Willaume) andrà via mentre la moglie Annika (Laura Bach) resterà nella Polaris. Quest’ultima ha scoperto insieme allo scienziato Arthur Wilde (John Lynch) un batterio capace di divorare anidride carbonica e arrestare così il cambiamento climatico. Johan tornerà alla stazione dopo aver perso i contatti con i colleghi da tre settimane e troverà quasi tutti morti. Ad aiutarlo nelle sue indagini alla ricerca della verità ci sarà la dottoressa Maggie (Katharine O’Donnelly), ritrovata nella stazione in stato confusionale.
The head, recensione
Coproduzione internazionale (The Medapro Studio, Hulu Japan, HBO Asia) girata a Tenerife, “The head” è composta da sei episodi con un buon grado di tensione che vedono tra gli altri nel cast Alvaro Morte, il professore de “La casa di carta”. Tra il freddo e l’isolamento dal mondo la sceneggiatura firmata da Álex e David Pastor, costruita con continui salti temporali avanti e indietro, ci porta gradualmente, giocando tra horror, thriller e giallo, a scoprire il o gli assassini soprattutto grazie ai ricordi di Maggie. Ogni personaggio potrebbe essere il colpevole giusto in quanto tutti sono disegnati in maniera ambigua e tormentata.
La buona idea di partenza viene sviluppata in maniera adeguata e induce alla visione di tutti gli episodi suscitando sapientemente l’interesse a scoprire chi è stato. L’intreccio ci cala in un’atmosfera suggestiva e lega i personaggi in un puzzle visualizzabile nella sua interezza solo alla sesta e ultima puntata della serie, con colpo di scena finale annesso. Non ci si può fidare di nessuno in una narrazione puntellata da continui cambi di ritmo e pensata per chiudersi definitivamente con questa prima stagione, anche se in questi casi vale il detto “mai dire mai”.
“The head”, disponibile sulla piattaforma Prime Video, ha riscosso un buon successo perché è un prodotto ben scritto, ben girato e interpretato da un cast affidabile. D’altronde sono tutte caratteristiche fondamentali per far funzionare uno script con pochi personaggi ambientato in un’unica location. Script che, pur ben aderente al reale, a molti ha riportato alla mente “La cosa” di John Carpenter. Qualche dubbio sorge da una certa fretta nello sbrogliare la matassa sul finale e da diversi semi narrativi gettati e abbandonati definitivamente. La regia di Jorge Dorado porta a compimento la sua missione senza osare, riproducendo la poca audacia della sceneggiatura. È un vero peccato, perché probabilmente c’erano i presupposti per ritagliarsi uno spazio ancor più privilegiato nel mare magnum di serie nel quale siamo immersi.