La morte della giudice Ruth Bader Ginsburg complica ancora di più la partita elettorale americana

Nella notte di venerdì si è spenta nella sua casa di Washington a causa di un cancro al pancreas all’età di 87 anni la giudice della Corte suprema americana e icona della sinistra, Ruth Bader Ginsburg. La sua morte arriva in un momento molto delicato per la vita politica americana, viste le elezioni imminenti. La nomina di un giudice della Corte suprema spetta infatti al presidente, massima espressione dell’autorità federale americana, la cui decisione deve essere però ratificata da parte dei membri del Senato, massima espressione (soprattutto in origine) della rappresentanza degli stati membri. Ora, essendo il Senato nelle mani dei repubblicani con 53 seggi su 100, la possibile nomina di un giudice conservatore potrebbe rovesciare il delicato equilibrio all’interno della Corte suprema con un’eventuale sproporzione di 6 giudici conservatori su 9 in totale. Gli effetti di questa nomina si andrebbe a riverberare sull’intera società americana, dal momento che l’ultima parola su alcuni dei temi più controversi spetta alla Corte e per la carica vitalizia della nomina.

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La figura di Ruth Bader Ginsburg

Nata il 15 marzo del 1933 a Brooklyn da genitori ebrei emigrati dalla Russia si laureò in diritto alla Cornell University, passando poi nel 1955 al corso di laurea in giurisprudenza della prestigiosa Harvard Law School, dove fu una delle 9 studentesse donne in una classe di circa 500 persone. Dopo il conseguimento della laurea nel 1959 e nonostante varie lettere referenziali ebbe moltissime difficoltà a trovare lavoro in quanto donna. Diventata in seguito avvocato, la sua prima vittoria in tribunale fu quella inerente il caso Frontiero v. Richardson, in cui difese le ragioni di un’ufficiale dell’aeronautica discriminata.  Prima ricercatrice e poi docente universitaria di procedura civile, venne nominata nel 1980 giudice della Corte d’appello degli Stati Uniti d’America per il distretto della Columbia dall’allora presidente democratico Jimmy Carter. Ricoprì tale incarico fino alla nomina, nel 1993, da parte del presidente Bill Clinton a giudice della Corte suprema, seconda donna nella storia americana a ricevere questa nomina. Considerata un’icona femminista per le sue battaglie per i diritti civili, in difesa delle donne, dei matrimoni gay, passando dal diritto all’aborto all’immigrazione, era conosciuta da tutti come “Notorius RBG” e il suo volto figurava su t-shirt, borse, e poster.

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La nomina ora infiamma la competizione elettorale

La morte della giudice, arrivata a 45 giorni dalle presidenziali del 3 novembre, infiamma ulteriormente una campagna elettorale particolarmente difficile. Il mondo politico americano in queste ore abbia reso omaggio all’unanimità alla sua scomparsa: dal presidente Donald Trump che l’ha definita “un titano della legge”, allo sfidante Joe Biden per il quale si è spenta “una voce per la libertà e le opportunità di tutti”, passando per alcuni ex presidenti, sindaci e politici di rango minore. Si apre ora, al di là delle dichiarazioni pubbliche, una complicatissima partita per la nomina del suo successore. Secondo alcuni media americani, Trump potrebbe infatti diventare il secondo presidente della storia americana dopo il repubblicano Richard Nixon a nominare ben tre giudici della Corte Suprema in un solo mandato (gli altri due sono stati Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh).

La morte della giudice diventa cruciale per il destino degli Stati Uniti perché in caso di contestazione dell’esito delle elezioni è la Corte suprema che decide chi diventa presidente (come successe nelle elezioni presidenziali del 2000 tra Bush Jr. e Al Gore). Se Trump riuscisse a nominare il nuovo giudice prima delle elezioni, i repubblicani riuscirebbero a blindare la Corte suprema per i prossimi decenni.

Nelle sue ultime volontà la Ginsburg aveva espresso il desiderio di non essere rimpiazzata fino all’elezione del nuovo presidente, ma Trump sembrerebbe già pronto a nominare un nuovo giudice. In un comizio in North Carolina ha infatti affermato che il successore sarà nominato la prossima settimana e sarà con buonissime probabilità una donna. Mentre i democratici hanno chiesto che la nomina avvenga dopo le elezioni, i repubblicani hanno cominciato a giocare le loro carte ignorando di fatto un caso simile avvenuto sotto la presidenza Obama. Nel 2016 dopo la morte improvvisa del giudice conservatore Antonin Scalia, l’allora presidente Obama nominò il giudice Merrick Garland, ma la maggioranza repubblicana del Senato, guidata da Mitch McConnell, si rifiutò di considerare la candidatura adducendo come motivazione la fine vicina della sua presidenza. A rigor di logica anche in questo caso si dovrebbe applicare la stessa procedura, ma in realtà non esiste un regolamento che la normi. Di questo i repubblicani sono più che consapevoli e cercheranno quindi di sfruttare in ogni modo possibile la situazione a loro vantaggio.


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