<em>«Non voglio vendetta, ma solo giustizia per la morte di mio marito. Chi ha tolto un padre e un marito esemplare alla sua famiglia non ha avuto la gioia di aver vissuto l’amore come noi».
Criminalità comune, vittime due volte, anche della burocrazia
Nonostante lotti ogni giorno contro il dolore indicibile che si porta dentro, Anna Gaeta, 39 anni, è la madre di due ragazzi di 15 e 19 anni, ma soprattutto la moglie di Patrizio Falcone, il 42enne ucciso da un vicino nel condominio dove abitavano il 23 maggio 2020 a Piscinola, periferia nord di Napoli.
Il suo è uno di quei tanti casi di vittime di criminalità comune, che non sempre ottengono benefici di legge. Quei casi che troppo spesso si perdono nei meandri della burocrazia in attesa che non vengano dimenticati dalla collettività, soprattutto dai giovani, a cui sono da esempio per il loro sacrificio. Proprio come è stato Patrizio: una vita votata all’amore per i suoi cari, che portava sempre con sé ogni volta che affrontava una traversata in mare per lavoro. Un uomo che chi lo ha amato (e continua ad amarlo) non cancella di certo e fa in modo non sia cancellato dagli altri.
“Giustizia per Patrizio Falcone e per tutte le altre vittime”
Anna ha creato infatti una pagina Facebook in memoria del marito, “Giustizia per Patrizio Falcone e per tutte le altre vittime”, dove ogni giorno dimostra il suo impegno per chi, spesso, viene dimenticato dalla giustizia.
«Il loro dolore lo sento cucito sulla mia pelle – ha scritto in un post sul suo profilo di qualche giorno fa, richiamando alla mente l’ennesima morte innocente avvenuta tra le strade di Torre Annunziata – In questo abbraccio (dice, riferendosi alla moglie e alla figlia di Maurizio Cerrato, ucciso il 19 aprile scorso per un posto auto) c’è tutto il nostro dolore. Noi chiediamo che le nostre strade smettono di sanguinare. Noi chiediamo che non ci siano più orfani, che i nostri figli non vedano tutto questo dolore. Giustizia per tutti noi. Giustizia per i nostri figli, perché non si può accettare che si muoia così».
Ucciso sotto gli occhi dei suoi familiari. “Una scena che mio figlio non dimenticherà mai”
Come non può accettare Anna che la morte di suo marito Patrizio non ottenga ancora giustizia. A margine dell’ultima udienza del 13 aprile scorso per il processo a carico di Maurizio Severino (che, presente in aula, ha chiesto il perdono davanti ai giudici ai familiari della vittima) imputato per l’omicidio del marittimo, la vedova – difesa dall’avvocato Virginia De Marco (la prossima udienza si terrà l’11 maggio, mentre la sentenza uscirà il 19 maggio) – chiede giustizia e verità per un uomo che era «un gran lavoratore» (nell’autopsia si legge “mani callose da lavoro”), sempre disposto ad ogni sacrificio per vedere felici moglie e figli: «amava girare il mondo, da ogni Paese dove andava con la nave mi portava i profumi che più amavo», è il commovente ricordo della consorte.
Oggi, a quasi un anno da quella tragedia, Anna si augura che la magistratura faccia luce su quanto avvenuto quel sabato mattina. Una giornata apparentemente tranquilla, in cui Patrizio stava sistemando una piscina sul terrazzo di casa in via Nuova detta la Vigna. Un gesto che mandò su tutte le furie Severino, residente in una palazzina attigua, tanto che arrivò a brandire una lama di 12 centimetri e a colpire dritto al cuore Falcone, provocandone la morte.
«Una scena che mio figlio maggiore purtroppo non dimenticherà mai – dice Anna – perché assistette all’omicidio dal nostro balcone e le sue urla mi fecero precipitare in cortile. Quando raggiunsi mio marito mi disse “Anna, vedi che cos’ho». Aveva un buco nel petto. Nessun segno di colluttazione, né di difesa, stando alle prime indagini. Ciò che farebbe pensare a un omicidio premeditato, ipotesi ovviamente che saranno i giudici a dover accertare o meno.
Vittime della criminalità comune in cerca di giustizia, “Siamo tutti Patrizio”
Intanto la vita di Anna e dei suoi due figli è cambiata in tutti questi mesi. «Non è stato facile ritrovarsi senza papà e senza marito – sottolinea la donna – manca l’essenza della nostra casa. In più, come si suol dire, dopo il danno la beffa: Patrizio, metalmeccanico navale, aveva contratti di 6 mesi, perciò oggi percepiamo una pensione di 115 euro mensili. Siamo in grande affanno, perché io lavoro saltuariamente in hotel come cameriera ai piani, situazione peggiorata col Covid. E mio figlio maggiore mi aiuta come può con qualche lavoretto».
Proprio quest’ultimo, testimone oculare dell’omicidio del padre, diplomato odontotecnico col massimo dei voti, fa il volontario della Protezione civile e ha un sogno: diventare carabiniere. «Francesco crede molto nella giustizia e vorrebbe indossare un giorno la divisa dell’Arma – racconta la madre – ecco perché insieme a me si augura che chi ha ucciso il papà sia punito dalla legge, perché alla fine siamo tutti Patrizio».