“Rifkin’s festival”, trama e recensione


La coppia sposata formata da Mort Rifkin (Wallace Shawn) e Sue (Gina Gershon) vola da New York a San Sebastián, in Spagna, per il Festival internazionale del cinema. Lui, appassionato di film classici, una volta insegnava proprio cinema e ora da scrittore sta cercando di concludere il suo romanzo per farne un capolavoro. Lei rappresenta per la stampa il regista compiaciuto e pretenzioso Philippe (Louis Garrel), con il quale sembra esserci più di una simpatia. Nelle settimane del festival Mort ripercorre la sua vita, prende piena coscienza della crisi del suo matrimonio e si innamora a sua volta della dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya), anch’essa cinefila.

“Rifkin’s festival”, recensione

È un Woody Allen non per tutti, ancora meno del solito, che alla veneranda età di 85 anni continua a sfornare più o meno un film all’anno in piena libertà artistica. Gli inserti dei sogni del protagonista omaggiano maestri del cinema come Welles, Fellini, Truffaut, Buñuel e Bergman e danno forma al personalissimo festival di Mort Rifkin. Allen diverte e si diverte infatti a riprodurre scene immortali; in particolare, la citazione rivista e corretta de “Il settimo sigillo” con il sempre magnifico Christoph Waltz nei panni della Morte, permette a Woody Allen di tracciare un bilancio relativamente personale e di piazzare le sue abituali riflessioni esistenziali. Una Morte che finisce addirittura per deprimersi davanti ai discorsi di Mort e gli consiglia di mangiare frutta e verdura per campare più a lungo. Per il resto la trama è davvero elementare e funge tra l’altro da pretesto per esternare ancora una volta l’amore del regista e sceneggiatore per il cinema d’autore europeo e una certa avversione per il classicismo holliwoodiano.

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Shawn è perfetto per il ruolo e un degno alter ego di Allen, esule anch’egli da New York, specie nel porgere le sue battute garbate e caustiche. Garrel incarna invece i registi moderni che aspirano a fare cinema mainstream in America e magari pretendono anche di risolvere in questa maniera questioni come il conflitto israelo-palestinese. Contro questi si scaglia una certa satira, anche se poi il dubbio di risultare snob e quindi la scelta di ridersi anche addosso si manifestano in maniera autocritica per l’autore di “Manhattan”. Che sembra questa volta ricorrere, tra i colori caldi accesi dalla fotografia di Vittorio Storaro,  con maggiore convinzione del solito al campo e controcampo, lui che predilige la naturalezza del campo a due e del master shot.

La seduta psicanalitica che apre e chiude il film è soltanto un mezzo per ribadire che da sempre e per sempre l’uomo è avvolto da emozioni immutabili, spiegabili fino a un certo punto, con le quali riempire la propria vita. Allen riesce ad allietare quella di molti da decenni con il suo umorismo e il suo cinema, che pur se sempre uguale a sé stesso e lontano dalle sue vette merita sempre una visione.

“Rifkin’s festival” sbarca nelle sale italiane a partire dal 6 maggio 2021.


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