Crisi Evergrande, la locomotiva cinese sta perdendo colpi?

Guai in vista per la finanza mondiale: l’economia cinese è cresciuta, stando agli ultimi reports degli analisti, al ritmo più lento di sempre durante il trimestre appena conclusosi, funestata da carenze di energia, “strozzature” nella catena di approvvigionamento e sporadici focolai di COVID-19, aumentando la pressione sui responsabili politici in mezzo alla crescente preoccupazione per la salute del settore immobiliare, con la crisi del colosso Evergrande che, secondo molti, potrebbe causare un vero e proprio “momento Lehman Brothers” per l’economia asiatica.

I dati rilasciati lunedì hanno mostrato che il prodotto interno lordo (PIL) cinese è cresciuto del 4,9% nel terzo trimestre, rispetto a un anno prima, il più lento dal terzo trimestre del 2020. La crescita è stata anche al di sotto delle aspettative degli economisti, con un sondaggio Reuters degli analisti che si aspettavano un aumento del PIL del 5,2% e un sondaggio dell’agenzia di stampa AFP che prevedeva una crescita del 5%.

Dobbiamo notare che le attuali incertezze dell’ambiente internazionale sono in aumento e la ripresa economica interna è ancora instabile e irregolare“, ha detto lunedì il portavoce dell’Ufficio Nazionale di Statistica, Fu Linghui.  L’economia cinese, la seconda più grande del mondo, si è espansa del 7,9% nel secondo trimestre, e del 18,3% nel primo trimestre, ma va detto che ha beneficiato del confronto con il crollo indotto dalla pandemia di COVID-19 all’inizio del 2020.  Nel frattempo, la crescita della produzione industriale è rallentata ulteriormente, assestandosi al 3,1 per cento su base annua a settembre.

La crescita è stata trascinata da un rallentamento del settore immobiliare, amplificato di recente dalle ricadute delle difficoltà legate ad Evergrande“, ha dichiarato alla stampa Louis Kuijs, responsabile del dipartimento di economia asiatica per la facoltà di economia di Oxford. L’agonia del gigante immobiliare Evergrande – alle prese con debiti che ammontano a più di 300 miliardi di dollari – ha portato gli eventuali nuovi investitori a volatilizzarsi, ed ha aumentato il livello di guardia di chi ha già investito.

Kuijs ha sottolineato inoltre che c’è stata una “ulteriore mazzata a settembre” derivante da carenze di elettricità e dai tagli alla produzione dovuti alla rigida attuazione degli obiettivi climatici e di sicurezza da parte dei governi locali.  Ha aggiunto che il danno è visibile nel rallentamento della produzione industriale. Victor Gao, vice presidente del Centro per la Globalizzazione della Cina a Pechino, ha riferito in una recente intervista ad Al Jazeera che gli ultimi dati sono sicuramente “poco lusinghieri”, ma che la Cina rimane “fiduciosa” di poter raggiungere una crescita annua dell’8% circa.

Questo consegnerebbe alla Cina una delle, se non la, migliore performance tra le più grandi economie del mondo“, ha concluso. I leader cinesi, timorosi che una persistente bolla immobiliare possa minare l’ascesa a lungo termine del paese, probabilmente manterranno severe restrizioni sul settore anche se l’economia rallenta, ma potrebbero allentare alcune misure se necessario, stando a quanto riferito da alcuni analisti.

L’attenzione adesso è rivolta sulle possibili conseguenze di una crisi economica cinese e sul rischio, ormai sempre più concreto e pressante, di un crollo del mercato immobiliare del paese a guida comunista. L’implosione di Evergrande sembra avvicinarsi ogni giorno di più, e molti si interrogano sulla possibile reazione a catena causata dall’esplosione di quella che tutti ormai riconoscono come una vera e propria “bolla immobiliare”. La maggior parte degli economisti ritiene poco probabile che il crollo di Evergrande possa causare una reazione a catena come accaduto con il crack del mercato dei subprime nel 2008, dato il maggior tasso di isolamento dell’economia cinese rispetto alla finanza mondiale, ma in realtà nessuno è in grado di dire cosa potrebbe accadere alle catene produttive e logistiche mondiali, fortemente dipendenti dai segmenti asiatici, nel caso di un eventuale crack dell’economia cinese.

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