Politica: Strategie per giudici e referendum


L’ultima fumata grigia per l’elezione del giudice costituzionale è una scelta delle formazioni politiche parlamentari, soprattutto di maggioranza, ma anche di opposizione. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scelto come giudice costituzionale Francesco Saverio Marini, il consigliere giuridico di Palazzo Chigi e l’autore della proposta di riforma costituzionale del cosiddetto premierato, ma sarebbe stato molto rischioso tentare la sua elezione nell’ultima seduta congiunta delle Camere per la votazione.

Alla fine c’è stata prudenza a causa dei numeri risicati e le forze di maggioranza, che sostengono il governo, hanno scelto di votare scheda bianca proprio, per non “bruciare” il nome di Francesco Marini. Per l’elezione dell’ultima votazione il quorum, pur essendo abbassato a 363 preferenze, vale a dire i tre quinti dei parlamentari, andava oltre i numeri del centro destra, senza considerare pure gli assenti e i sempre possibili franchi tiratori.

Insomma, da circa un anno non si riesce a sostituire nell’organismo l’ex presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra e a metà dicembre scadranno altri tre giudici, portando la Consulta alla soglia minima di undici componenti. Dietro le quinte dell’elezione del giudice mancante e in prospettiva degli altri giudici in scadenza della Corte Costituzionale, si celano le strategie sui referendum e altre questioni politiche importanti.

Il centro destra di Giorgia Meloni deve cercare di raggiungere l’elezione di Marini prima del 12 novembre, perché in quel giorno la Corte Costituzionale è chiamata a decidere sul ricorso in via diretta delle regioni di centrosinistra contro la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata. Successivamente a gennaio i giudici della Corte Costituzionale saranno chiamati a valutare l’ammissibilità di tutti i quesiti referendari, sia quelli sui quali l’opposizione si è compattata, sia quelli sul Jobs act, sui quali le forze politiche di centro sinistra sono divise.

I referendum che hanno superato le cinquecentomila firme, previste dalla Costituzione, in totale sono sette, due contro l’autonomia differenziata, uno sulla legge sulla cittadinanza, che dimezza da dieci a cinque gli anni di residenza in Italia richiesti agli stranieri maggiorenni che la richiedono e quattro per cancellare la riforma del Jobs act, voluta dal governo di Matteo Renzi. Il percorso dei referendum prevede il parere della Corte Costituzionale sull’ammissibilità, dopo le festività natalizie ed entro la metà di gennaio del 2025.

Le forze politiche di opposizione, seppure divise tra loro, accusano tutte il centrodestra di aver tentato di spostare a destra gli orientamenti della Corte Costituzionale, proprio in prossimità di questi appuntamenti decisivi. La Costituzione prevede che i cinque giudici di nomina parlamentare della Consulta, sui quindici che compongono l’organismo nella sua interezza, siano eletti con voto segreto dalle Camere in seduta comune. Nei primi tre scrutini la Costituzione richiede una maggioranza dei due terzi, che dopo la riduzione del numero dei parlamentari sancita con l’ultimo referendum Costituzionale risulta essere di 403 voti, sul totale dei 605 tra deputati e senatori in carica al momento, considerando pure i senatori a vita.

A partire dal quarto scrutinio il quorum si abbassa a tre quinti dei componenti e si arriva così ai 363 voti, che erano necessari all’ultima votazione, che è andata nulla, per la decisione delle forze di maggioranza di votare scheda bianca. Queste soglie di quorum sono alte, per non consentire la nomina dei giudici ad appannaggio esclusivo della maggioranza di turno, cercando al contrario di favorire un’intesa, che vada oltre gli schieramenti.

La ricerca di un accordo tra maggioranza e opposizione va considerata in ossequio alla funzione di garanzia Costituzionale di un organo fondamentale, come quello della Consulta.

La designazione dei cinque giudici di nomina parlamentare negli ultimi decenni è stata riservata ai partiti, in base alla loro consistenza numerica e ai rapporti di forza in Parlamento. Dopo l’ultima votazione in bianco la strada sembra essere ancora una volta quella dell’accordo tra maggioranza e opposizione.

A questo proposito si potrebbe attendere la scadenza dell’attuale presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera e degli altri due giudici, Franco Modugno e Giulio Prosperetti entro la fine dell’anno, per fare un’unica trattativa.

La soluzione potrebbe prevedere un giudice a Fratelli d’Italia, probabilmente Francesco Saverio Marini, uno a Forza Italia, uno alla Lega e uno alle opposizioni, che dal loro punto di vista però insisteranno sicuramente per chiederne due.

Autonomia differenziata, la proposta del governatore campano Vincenzo De Luca

Per quanto riguarda la questione del referendum sull’autonomia differenziata proprio in questi giorni si registra una proposta sorprendente, da parte del presidente della giunta regionale della Campania, Vincenzo De Luca. Se venissero accolti i suoi punti emendativi alla legge Calderoli sull’autonomia, a suo giudizio si potrebbe anche evitare di fare il referendum.

De Luca ricorda di aver anche contribuito alla raccolta di firme per il referendum, ma a questo punto rivendica la necessità di un confronto con tutte le forze politiche, al termine del quale con l’accoglimento delle sue modifiche alla legge, il referendum sarebbe completamente inutile.

Il presidente della giunta regionale della Campania ha presentato ufficialmente i suoi emendamenti alla legge sull’autonomia differenziata, precisando che non si tratta di fare battaglie teologiche, per contrastare l’autonomia differenziata, ma di cercare di ottenere la modernizzazione dell’Italia.

Dal 2019 la linea di De Luca è stata quella di combattere la burocrazia, per modernizzare l’Italia, mantenendo unite nello stesso tempo sia le forze produttive, che i ceti professionali. Questa linea, secondo il governatore della Campana, sarebbe stata apprezzata anche dagli imprenditori del settentrione, che non avrebbero assolutamente considerato così importante l’autonomia differenziata, quanto piuttosto la necessità di una battaglia comune per sburocratizzare l’Italia.

De Luca intende spostare la discussione sul terreno dell’unità nazionale, abbassando il referendum al rango di subordinata secondaria. De Luca ha dichiarato testualmente: “La nostra proposta di legge sull’autonomia differenziata è un terreno di verifica per tutti. Nessun partito è escluso dall’obbligo di coerenza”, e si riferiva soprattutto alla posizione politica del suo partito, il PD, ma anche del Movimento 5 Stelle, rispetto agli emendamenti proposti dalla Campania alla legge sull’autonomia differenziata.

De Luca non ha risposto a chi gli ha chiesto se avesse elaborato queste proposte emendative in sintonia con PD e M5S, ribadendo che nessuno può permettersi di dare lezioni sulla questione dell’autonomia delle regioni. Il governatore intende andare oltre le bandiere, le coalizioni e i partiti, per misurare la coerenza di tutte le forze politiche su alcune proposte, che non riguardino necessariamente la maggioranza o l’opposizione.

De Luca ha osservato in modo favorevole l’atteggiamento di Forza Italia sulla legge Calderoli, in riferimento alla posizione assunta dal suo collega presidente della Regione Calabria, che ha avanzato rilievi in larghissima misura simili a quelli proposti dalla sua Campania. De Luca ovviamente a questo punto si aspetta la coerenza a livello parlamentare della posizione assunta dal presidente della giunta regionale della Calabria.

Se si ritiene che ci siano problemi per l’unità del Paese, in riferimento soprattutto all’unitarietà del sistema sanitario pubblico e del sistema scolastico pubblico, in maniera pacata ma decisa, si devono fare di conseguenza le necessarie modifiche legislative. Solo se il comportamento in Parlamento sarà coerente con quanto affermato dai rappresentanti regionali anche delle forze di maggioranza che sostengono il governo Meloni, secondo De Luca, si potrà evitare il referendum abrogativo sull’autonomia differenziata, e salvare nello stesso tempo l’unità della nazione italiana.

 

 

 

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