Amnesty International: nuove ombre sulla coppa del mondo in Qatar, il costo del calcio moderno è ancora sostenibile?


Il Qatar, paese organizzatore della prossima Coppa del Mondo, pianificata per il 2022, “non è riuscito” a far luce sulla morte di migliaia di lavoratori migranti, deceduti nel corso degli ultimi dieci anni, in circostanze legate ai lavori di pianificazione e costruzione degli impianti sportivi necessari per l’evento, secondo un nuovo rapporto di Amnesty International.

La celebre organizzazione per i diritti umani ha rivelato che la maggior parte delle morti dei lavoratori migranti in Qatar sono infatti attribuite dalle autorità locali a “cause naturali”, come ad esempio ad insufficienza cardiaca o respiratoria, classificazioni ritenute essere assolutamente “prive di significato”, stando ai commenti degli esperti medico – legali consultati, in quanto non si è mai andato ad indagare sui motivi scatenanti di tali ipotetiche insufficienze, probabilmente legate alle condizioni di lavoro inumane ed ai ritmi insostenibili imposti ai lavoratori.

Il dato risulta ancor più significativo se considerato nella sua interezza: il 70% delle morti sul lavoro avvenute durante la costruzione degli impianti qatarioti resta infatti, ad oggi, senza una reale motivazione medico – legale. “In un sistema sanitario dotato di buone risorse, dovrebbe essere possibile identificare la causa esatta della morte in tutti i casi tranne l’1%“, si legge all’interno del rapporto di Amnesty.

Queste nuove scioccanti rivelazioni non fanno altro che aumentare la pressione mediatica e l’attenzione pubblica sulle autorità qatariote e sulla Fifa, soprattutto dopo la netta presa di posizione delle associazioni e dei sindacati di calciatori in giro per il mondo, con le richieste da parte degli sportivi di assicurare maggiori garanzie e tutele per i lavoratori al momento all’opera in Qatar.

Ad oggi il comitato organizzatore della Coppa del Mondo si è limitato a riportare la notizia di sole 38 morti sul lavoro avvenute nel corso della costruzione degli impianti sportivi, dato non solo “assolutamente parziale”, secondo vari portavoce di Amnesty International, in quanto le autorità avrebbero sistematicamente mancato di includere nel conteggio i dati dei lavoratori morti, ad esempio, mentre venivano trasportati altrove o per conseguenze successive di infortuni subiti sui cantieri, ma anche fortemente “sospetto”, in quanto, di queste 38 morti, ben 35 sono state classificate come “non legate al lavoro”, un dato su cui andrebbero puntati i riflettori, secondo Amnesty, a causa della completa assenza di indagini o di investigazioni medico – legali atte ad identificare la causa dei decessi.

Stando a quanto si legge nell’ultimo rapporto, vi sarebbe la “certezza” al di là di ogni ragionevole dubbio del pesante influsso di fattori come l’intenso calore e lo spaventoso grado di umidità degli ambienti in cui gli operai sarebbero costretti a lavorare, fattori che non vengono tamponati in alcun modo dalle autorità locali e dal comitato organizzatore, che sembrerebbe, invece, essersi completamente disinteressato della problematica.

Quando uomini relativamente giovani e sani muoiono improvvisamente dopo aver lavorato a lungo in condizioni di caldo estremo, ciò solleva seri interrogativi sulla sicurezza delle condizioni di lavoro in Qatar”, ha osservato Steve Cockburn, responsabile di Amnesty per la giustizia economica e sociale.

Non essendo possibile indagare sulle cause alla base della morte dei lavoratori migranti, le autorità del Qatar stanno sistematicamente ignorando i segnali d’allarme che potrebbero, se affrontati, salvare delle vite. Questa è una violazione del diritto alla vita“. Ha concluso Cockburn.

Si tratta solo dell’ultimo capitolo di questa scioccante “saga”: l’attenzione pubblica riservata alle condizioni inumane in cui sono costretti a lavorare gli operai impiegati alla costruzione degli impianti sportivi per Qatar 2022 è andata progressivamente crescendo sin dal 2010, anno in cui il paese del Golfo si è aggiudicato l’onore e l’onere di ospitare la massima competizione calcistica. Stando a quanto riporta il Washington Post, la forza- lavoro non specializzata impiegata in Qatar si fonda quasi interamente sui circa 2 milioni di migranti affluiti nel paese nel corso dell’ultimo decennio. Altre fonti, che hanno chiesto di rimanere anonime, riportate dal prestigioso quotidiano The Guardian, hanno rivelato che le morti di lavoratori migranti provenienti dalle sole regioni dell’Asia Meridionale sarebbero quantificabili in circa 6.500 “unità”, sottolineando inoltre come sia assolutamente inutile rivolgere l’attenzione alle sole morti collegate in maniera “diretta” ai cantieri delle strutture sportive, in quanto al momento, in Qatar, vi è un enorme sforzo costruttivo legato anche alle infrastrutture necessarie alla fruizione dell’ormai prossimo evento sportivo, circostanza che richiede l’impiego di un numero ancora maggiore di lavoratori e che, nei fatti, conduce ad una “conta dei morti” dal totale ancor più vertiginoso.

Le autorità del Qatar hanno affermato che il tasso di mortalità dei migranti rientrerebbe nei “limiti previsti”, data la dimensione della forza lavoro, ma gli esperti medico-legali citati nel rapporto di Amnesty mettono in serio dubbio “la capacità delle autorità di fare questa affermazione, a causa della scarsa qualità dei dati disponibili”.

Il rapporto ha descritto con crudo dettaglio anche il devastante peso che la morte di un lavoratore produce sulla sua famiglia. Secondo la normativa qatariota, infatti, i risarcimenti alla famiglia sono dovuti solamente quando i decessi sono “causati dal lavoro”, ma l’incapacità, o la scarsa volontà, di indagare correttamente sulle effettive cause dei decessi, permette, nei fatti, ai datori di lavoro di evitare i risarcimenti in maniera sistematica, ha sottolineato Amnesty.

Il nuovo rapporto di Amnesty International tenta, dunque, di squarciare definitivamente il velo sui sistematici abusi perpetrati ai danni dei lavoratori migranti in Qatar. Si tratta, tuttavia, solo dell’ennesimo tentativo di dare una voce a migliaia di “novelli schiavi”, come sono stati definiti da molte organizzazioni internazionali, sacrificati, nel caso specifico, sull’altare del calcio moderno, nel nome della visione di calcio globale portata avanti dalla Fifa e da ex personalità di spicco come Blatter e Platini, più nel nome dell’interesse economico, come è stato poi rivelato dalle successive inchieste e dagli scandali seguiti, che dalla genuina cultura sportiva e dalla reale volontà di rendere il calcio uno sport pienamente internazionale.

I paesi occidentali dovrebbero a questo punto porsi una domanda, dal peso e dalle conseguenze non indifferenti: il prezzo di questo calcio moderno, sia in termini di diritti violati che di vite irrimediabilmente rovinate o perdute, è ancora sostenibile?

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