Armenia-Azerbaijan, non si fermano gli scontri nella regione del Nagorno-Karabakh


A sette giorni dall’inizio degli scontri tra armeni e azeri nella regione contesa del Nagorno-Karabakh non sembra palesarsi un alleggerimento del conflitto militare. Oggi, Ganja, la seconda città più grande dell’Azerbaijan, è stata bombardata dalle forze militari armene, a seguito del bombardamento ad opera delle forze azere di Stepanakert, la capitale della regione. Il conflitto, scoppiato il 27 settembre, ha già provocato decine di morti da entrambe le parti, ma i due contendenti non sembrano per ora disposti alla discussione e al dialogo per trovare una soluzione o, quantomeno, un compromesso.

 

Le origini del conflitto e il territorio conteso

Il territorio del Nagorno-Karabakh è un’area prevalentemente montuosa, ricca di boschi e corsi d’acqua, quasi interamente combaciante con l’autoproclamatosi stato della repubblica armena dell’Artsakh. Da secoli popolato da armeni cristiani e azeri musulmani, la regione diventò parte dell’Impero russo nel XIX secolo. Oggetto di una contesa tra gli anni 1918-1920 fra Armenia e Azerbaijan, nel 1920 fu conquistato dai bolscevichi e nel 1923 entrò a far parte dell’Azerbaijan. Le ostilità tra armeni e azeri si riaccesero già negli ultimi anni del periodo sovietico. A seguito della dissoluzione dell’URSS, la popolazione armena dell’Alto Karabakh approvò con un plebiscito l’indipendenza della regione. Quelli che fino ad allora erano stati scontri sporadici e scaramucce diventarono una vera e propria guerra aperta. Nonostante il blocco economico attuato da Azerbaijan e Turchia, che determinò anche un crollo industriale e un’impressionante crisi economica, il conflitto vide il netto successo militare degli armeni, i quali non solo espulsero gli azeri, ma occuparono anche altri territori. Nel maggio 1994, l’accordo di Bishkek pose fine alle ostilità, sanzionando la situazione di fatto con un cessate il fuoco. Il bilancio del conflitto fu pesantissimo: tra i 20 e i 30 mila morti, oltre un milione di profughi e una situazione economica disastrosa.

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Gli attori in campo e gli interessi in gioco

Negli ultimi tre mesi la tensione tra i due Paesi è tornata a salire vertiginosamente. Già a luglio uno scontro confinario ha provocato accesi combattimenti dopo momenti di tranquillità vissuti negli ultimi anni (gli ultimi scontri sono avvenuti nel 2012 e 2016).

Gli interessi in campo sono variegati. Gli azeri aspirano a riconquistare i territori strappati loro dall’Armenia nel conflitto del 1994. In questo senso il presidente Ilam Aliev ha fomentato negli ultimi tempi il nazionalismo e il bellicismo azero per distogliere l’attenzione dai problemi di politica interna. Nel suo piano ha il pieno appoggio della Turchia, la quale sembra considerare il conflitto tra Armenia e Azerbaijan un altro scenario su cui esercitare le proprie ambizioni internazionali e i sogni egemonici in nome del neo-ottomanesimo che guida la politica estera di Erdogan. Il sostegno finora è stato evidente con coperture aree, tecnologie sofisticate e l’invio di mercenari. Probabilmente è stato proprio il sostegno turco a spingere Baku ad assumere un atteggiamento aggressivo nei confronti del vicino.

La situazione risulta complicata dal fatto che il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva annunciato nel suo programma elettorale che avrebbe ridato slancio alle trattative per trovare una soluzione alla questione, ottenendo però un nulla di fatto. Nonostante il nuovo volto più liberale infatti, il Governo ha finito con l’assumere la stessa posizione nazionalista e intransigente dei predecessori. Probabilmente ciò ha spinto il governo di Baku a considerare la via negoziale troppo tortuosa e a ritenere che il conflitto armato fosse l’unica soluzione.

L’Armenia dal canto suo può contare sul tradizionale appoggio della Russia, intenzionata però soltanto a mantenere lo status quo nella regione e impedire un rafforzamento turco, e su quello dell’Iran, determinato a non far rafforzare la cospicua minoranza azera al suo interno. Allargando lo sguardo, il nuovo conflitto dimostra come il sistema mediorientale stia soffrendo di una miope visione strategica e di disinteresse da parte americana, facendo naufragare i progetti, ideati nel secolo scorso, di creare in Azerbaijan un perno per il controllo della regione. Con il risultato di rendere gli attori locali molto più aggressivi e spregiudicati di un tempo.

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