Carceri, tra capienza e Covid situazione critica


Un universo fatto di 6.570 reclusi, di cui 149 semi liberi, a fronte di una capienza regolamentare di 6156. Dove il 5% sono donne e 851 originari di altri Paesi a fronte dei 1.001 recensiti a fine 2019. Sono i dati relativi alla popolazione detenuta in Campania, aggiornati al 28 febbraio, nei 15 istituti penitenziari per maggiorenni e nell’istituto militare di Santa Maria Capua Vetere.

Una situazione che – nonostante i cambiamenti adottati per migliorare le condizioni igienico-sanitarie a causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus e il 19% dei penitenziari sia stato dedicato alla realizzazione di reparti Covid – nel 22% delle strutture detentive non presenta docce e nel 37% non prevede il bidet in cella. Si riscontrano inoltre problemi nell’erogazione di acqua calda nel 16% dei casi.

Carceri e Covid, la diffusione del contagio

Durante la pandemia la tutela del diritto alla salute della popolazione detenuta negli istituti penitenziari e nei servizi della giustizia minorile ha richiesto dunque uno sforzo ancora maggiore da parte delle istituzioni sanitarie. Infatti, se in Campania la diffusione del contagio nei primi mesi ha registrato numeri ridotti, nella seconda fase è cresciuta a tal punto che ad oggi i contagiati sono stati 1644: 862 agenti, 724 detenuti, 58 operatori penitenziari. Da qui l’avvio di una campagna di screening, che nel 2020 ha portato nelle carceri campane a effettuare tamponi pari a 10.769 per i detenuti e 4.670 per il personale che opera all’interno.

«Anche in Campania per i setting a rischio quali istituti penitenziari e luoghi di comunità partirà la campagna vaccinale – spiega il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, relazione annuale sulle carceri campane alla mano – La particolare condizione a cui sono sottoposte le persone ristrette richiede una valutazione equa della vulnerabilità a cui sono esposte. Sul tema della sanità penitenziaria regionale occorre però arrivare al più presto alla “stabilizzazione” degli operatori sanitari. Il carcere è tutt’altro che un luogo immune al virus».

Una comunità dolente che accomuna agenti e ristretti

Attraverso la sinergia con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, gli uffici di esecuzione penale esterna, i dirigenti e i responsabili della sanità penitenziaria e della salute mentale e dell’ambito della giustizia per adulti e minori anche quest’anno l’intento della relazione, elaborata in collaborazione con l’Osservatorio regionale sulla vita detentiva, è stato fornire il quadro della situazione delle persone che nella nostra regione si trovano a vivere, anche se in maniera temporanea, la condizione di detenuti o di persone private della propria libertà personale.

Ne esce fuori un mondo molto spesso dimenticato, a volte rimosso, a volte considerato marginale. Una comunità dolente che accomuna agenti e ristretti. “Un luogo di comunità”, dove nell’ultimo anno a causa del Covid sono morti: 5 agenti, 4 detenuti e 1 medico.

In questo scenario l’emergenza sanitaria ha rappresentato un momento di crisi del percorso di trattamento in termini di diminuzione di visite, permessi e opportunità di istruzione, formazione e inserimento lavorativo ma, nel contempo, si è caratterizzata come un momento di cambiamento che ha “costretto” a mettere in campo un nuovo modello di gestione in termini di organizzazione e innovazione interna, con la possibilità di effettuare colloqui a distanza mediante le apparecchiature in dotazione agli istituti penitenziari.

Carceri: Covid, colloqui e visite

In quest’anno l’Ufficio del garante, nonostante le restrizioni, ha continuato a operare attraverso una serie di azioni quali colloqui, visite e numerosi interventi a seguito delle richieste che provengono dai detenuti, dai loro familiari, ma anche dagli operatori penitenziari e dagli educatori.

Basti pensare che nel periodo tra gennaio e dicembre 2020 sono stati effettuati 1.292 colloqui, numero di poco inferiore a quello svolto nell’anno precedente. In totale sono pervenute 1.252 richieste di intervento, di cui 720 giunte attraverso la segnalazione della direzione degli istituti di pena, 453 lettere spedite dai detenuti, 42 e-mail ricevute dai familiari e 37 ricevute da parte di avvocati, associazioni e cooperative.

«Per quanto limitate non mancano denunce di abusi e maltrattamenti, rispetto alle quali mi sono attivato presso la direzione dell’istituto segnalandole, ove circostanziate, alla Procura della Repubblica», conclude Ciambriello.

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