Caso Daniele De Santis. Il parere di un penalista


La notizia ha fatto scalpore. Daniele De Santis, l’assassino di Ciro Esposito, ha avuto la riduzione della pena. Ecco i fatti ed il parere del penalista Michele Calvanico

Daniele De Santis, pena da 26 a 16 anni

In appello Daniele De Santis, che sparò prima della finale di Coppa Italia Napoli-Juventus del 3 maggio 2014 il colpo fatale per Ciro Esposito, si è visto ridurre in Corte d’assise d’appello di Roma la pena da 26 a 16 anni.

Il procuratore generale Vincenzo Saveriano aveva chiesto per Daniele De Santis (tifoso della Roma che non era interessata alla partita)  una condanna a 20 anni per omicidio volontario. Lo sconto di pena è arrivato per l’assoluzione dell’assassino per l’assoluzione del reato di rissa e dell’esclusione dell’aggravante per futili motivi e recidiva. Oltre a De Santis, in aula c’è stata l’assoluzione per Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, tifosi del Napoli.

Mentre la famiglia di Ciro Esposito e i legali della stessa gridano all’assurdo, i legali di De Santis annunciano il ricorso in Cassazione. La sentenza fa e farà discutere. Abbiamo, dunque, interpellato Michele Calvanico, avvocato penalista con studio a Napoli e a Castellammare di Stabia, per chiedere alcune delucidazioni in merito e fare chiarezza i nostri lettori.

Intervista al penalista Michele Calvanico per il caso De Santis

– Come è possibile che per un omicidio in Italia si possano avere 16 anni in appello e i legali dell’assassino devono ancora giocarsi la carta della cassazione?

L’ordinamento italiano consente che per un omicidio si arrivi ad una pena di tale entità. Ovviamente, per i non addetti ai lavori e per i familiari della persona offesa possono apparire delle pene esigue, che in realtà nell’esecuzione effettiva delle stesse, poi tanto esigue non sono. Si parla comunque di pene importanti a sedici anni di reclusione.

– Che peso ha la discrezione del giudice in questo tipo di sentenza?

In ambito penale vige il principio della discrezionalità del giudice nell’applicazione e nella dosimetria della pena; ovviamente, è una discrezionalità vincolata, che deve tenere conto dei limiti imposti dalla legge stessa al giudice. E’ ovvio che tale discrezionalità viene censurata e, ripeto, non capìta da chi non è addentro alla materia

– Crede che ci sia stato qualche intoppo nel corso del processo? Ci risulta assurda una pena così blanda, per la quale i legali dell’assassino hanno già annunciato il ricorso per Cassazione…

Per quanto riguarda l’opportunità di ricorrere in Cassazione, queste sono garanzie ineludibili e riconosciute dall’ordinamento italiano alla difesa dell’imputato. Certo, il giudizio di Cassazione non è un giudizio di merito, ma un giudizio di legittimità, ma che vede la censura non nei motivi di fatto, ma si incentra su eventuali lesioni di legittimità, erronea applicazione di legge e altri casi del genere. Sono diritti che non possiamo non riconoscere agli imputati. Sono diritti che non devono essere messi in discussione sull’onda emozionale di un giudizio e di una sentenza che possa aver suscitato un certo scalpore.

Alla diminuzione della pena, ovviamente, ha inciso l’esclusione della contestazione del reato di rissa che era stato riconosciuto in primo gravo e dall’esclusione dell’aggravante dei motivi abbietti e futili. Ora, lungi dall’entrare nel merito di queste valutazione dal momento che non conosco gli atti processuali, purtroppo, l’applicazione della pena risente di meri calcoli matematici. Dunque, dalla pena originaria vanno detratte matematicamente gli aumenti che erano stati applicati per il reato di rissa e per il riconoscimento dell’aggravante dei motivi abietti e futili. In sostanza, il giudice in appello, oltre a una valutazione di fatto sulla sussistenza o meno del reato di rissa e dell’aggravante in parola, successivamente non ha dovuto fare altro che un calcolo matematico.

– Ha un’idea da poter proporre come soluzione ai reati che si commettono in prossimità delle partite di calcio e che sembrano avere una giustizia a parte?

Il problema della sicurezza negli stadi è una piaga tuttora aperta per il calcio italiano e credo che, in futuro per evitare il ripetersi di queste immani tragedie, sia necessario partire da un cambiamento culturale da parte dei tifosi e che sia necessario cambiare l’approccio a questo sport, che deve essere più sereno, con meno esasperazioni e che deve mettere al centro del proprio interesse la fase agonistica, piuttosto che tante altre questioni, da quelle di natura razziale geografiche e quant’altro.

Certo solo un cambiamento culturale non e non basterà. Parliamo sempre dei soliti problemi della vetustà degli stadi, della inadeguatezza degli impianti e credo che il sistema migliore sia quello che hanno utilizzato in Inghilterra, ossia con lunghi percorsi di prefiltraggio dell’utenza e con la possibilità per le forze dell’ordine di operare maggiori controlli, con maggiore tempo a disposizione.

Credo che per evitare che in futuro si possano ripetere questi tipi di tragedie sia necessario, ripeto, un cambio di mentalità da parte di tutti noi e, finalmente, l’adeguamento degli impianti a quelle che sono le esigenze di controllo e di sicurezza più idonee al loro scopo.

Ringraziamo l’avvocato Michele Calvanico per il tempo dedicatoci.

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