La possibilità “sempre più probabile” di una massiccia fuoriuscita di petrolio da una “mega nave” in rovina incagliata nel Mar Rosso potrebbe interrompere le forniture di acqua pulita all’equivalente di più di nove milioni di persone, secondo un nuovo studio, causando un disastro ambientale di dimensioni catastrofiche.
La petroliera FSO Safer, che contiene al suo interno ancora oggi 1,1 milioni di barili di petrolio, più di quattro volte la quantità versata nel 1989 dalla tristemente nota Exxon Valdez 2, è abbandonata al largo della costa dello Yemen dal 2015 e continua a deteriorarsi giorno dopo giorno.
Una falla nella nave starebbe già causando la lentissima fuoriuscita del suo contenuto “direttamente in mare”, sostiene un rapporto pubblicato sulla rivista Nature Sustainability questo lunedì.
Il rapporto include una modellazione predittiva, che prevede che una fuoriuscita totale del contenuto della nave potrebbe avere conseguenze ambientali, economiche e umanitarie più ampie di quanto immaginato in precedenza, praticamente disastrose.
“La fuoriuscita prevista potrebbe interrompere la fornitura di acqua pulita equivalente all’uso quotidiano di 9,0-9,9 milioni di persone“, hanno infatti rivelato gli autori dello studio. Fino a 8,4 milioni di persone potrebbero inoltre essere tagliate fuori dalle loro forniture alimentari, hanno aggiunto, con l’intero settore della pesca, che ogni anno sfama quasi 2 milioni di persone in quelle regioni, che verrebbe praticamente paralizzato.
Entro una settimana, la fuoriuscita minaccerebbe i tre quarti del commercio ittico nel Mar Rosso, ed entro la terza settimana si arriverebbe al blocco completo e totalizzante, che andrebbe a causare una carestia con conseguenze demografiche ed umanitarie praticamente incalcolabili.
Lo Yemen è anche “particolarmente vulnerabile” a causa della sua dipendenza dai grandi porti vicini alla petroliera, come quelli di Hodeidah e di Salif, attraverso i quali il 68% degli aiuti umanitari entra nel paese. Più della metà della popolazione del paese dipende dagli aiuti umanitari consegnati nei porti, secondo il rapporto.
Altro fattore da tenere altamente in considerazione è quello di un probabile “effetto aerosol” causato dal completo rilascio del petrolio contenuto nella nave, che andrebbe ad avere conseguenze nefaste anche sulla qualità dell’aria nell’intera regione. Il rischio medio di ricoveri cardiovascolari e respiratori andrebbe dal 6,7% per una fuoriuscita a rilascio lento al 42,0% per una fuoriuscita a rilascio rapido.
Tinte ancora più fosche vengono dipinte quando si considerano le conseguenze ambientali ed ecologiche di un simile evento: La fuoriuscita andrebbe a devastare completamente le barriere coralline del Mar Rosso, considerate patrimonio dell’umanità, responsabili per la “tenuta” ecologica di un ecosistema sterminato. Una fuoriuscita completa potrebbe anche “ostacolare il commercio globale”, causando la paralisi del traffico navale attraverso il vitale stretto di Bab el-Mandeb, attraverso il quale passa il 10% del commercio marittimo globale.
Le condizioni in cui versa l’enorme petroliera non consentono neanche di poter trovare una soluzione semplice o rapida per questa gravissima minaccia: lo status di decadimento delle strutture della nave, infatti, è tale che ogni “incidente di percorso” o minima distrazione commessa in sede di recupero potrebbe causare la definitiva “implosione” dell’imbarcazione, andando a far concretizzare quel che si tenta di impedire.
Le operazioni di recupero sono destinate, dunque, laddove dovessero cominciare immediatamente, ad essere particolarmente lunghe, onerose e difficili, e gran parte delle associazioni ambientaliste hanno già richiesto che ad addossarsi la responsabilità dell’intera operazione sia l’azienda petrolifera proprietaria della nave stessa, la quale ha, tuttavia, ancora evitato di rilasciare commenti sulla situazione.