In principio fu Gino Sorbillo. Un fuoriclasse, nulla da aggiungere: tanto dietro al forno quanto tra la gente. Gino, nipote di Luigi Sorbillo e Carolina Esposito, fondatori della storica sede di via dei Tribunali a Napoli tutt’ora attiva, è il figlio del 19simo dei figli dei fondatori: una dinastia acqua e farina diventata un impero. Per entrare nell’immaginario collettivo, però, Gino si è imposto a pizza e media. Accompagnato in una fase della sua carriera mediatica anche dall’onnipresente “fabbrica di titoli per giornali” Francesco Emilio Borrelli, alla margherita abbinava candidature alle primarie del Partito Democratico. Al forno la presenza in TV. Oggi, quindi, se cerchiamo su Google “Chi è il pizzaiolo più famoso di Napoli?”, la SERP è ben chiara spiegandocelo direttamente in posizione zero.
Saremo sinceri: piaccia o no, con la sua iperpresenza e le pizze parlate, Gino Sorbillo è diventato un modello a cui mirare. Più passano gli anni, più i pizzaioli travalicano il loro ruolo per essere qualcosa in più.
Attualmente, per sfumature insignificanti della keyword di ricerca, il “pizzaiolo migliore di…” cambia sempre nome. Franco Pepe, Valerio Valle, Danilo Melloni, Luciano Carciotto per fare alcuni esempi.
Diciamocelo, sembra che la sfida più che al forno si giochi in SEO.
Cercasi pizzaiolo che faccia le pizze
Ed è probabilmente per questo che i pizzaioli hanno man mano lasciato i grembiuli per diventare altro. O li hanno indossati mentre erano altro per rivendicare l’appartenenza a una categoria, come fosse una divisa. Da un lato, i lustrini del gourmet con le sue regole, i suoi giornali e i suoi giornalisti di riferimento, in un sistema a sé stante rispetto al resto della categoria. Dall’altro, la voglia di mettersi in mostra. Nascono così i pizzaioli influencer, i pizzaioli che vincono i talent, i pizzaioli che si fanno tra loro concorsi e manifestazioni e – anche – i pizzaioli opinion leader.
Nascono anche a Napoli. Soprattutto a Napoli. Patria della pizza che ne rivendica fieramente e giustamente le radici. Nell’atavica mancanza di figure di spessore culturale riconosciute come tali in questa città, troppo spesso i pizzaioli approfittano del vuoto per inserirsi nel dibattito e guadagnare qualche pagina promozionale sui quotidiani.
Mentre i Gerardo Marotta venivano abbandonati a sé stessi negli ampi saloni dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, gli Aldo Masullo ci lasciano troppo presto e a formare l’opinione pubblica sono quelli che più che fare fanno baccano (con una certa compiacenza da parte di una stampa dal titolo urlato), capita quindi di sentire pizzaioli disquisire sulle scelte politiche e sul futuro della città e della Nazione con una nonchalanches da sociopolitologi navigati.
Cercasi personale
Ultimo in ordine di tempo è Ciro Oliva, a cui viene dato ampio spazio sul dorso locale di un blasonato quotidiano con la sua analisi della situazione occupazionale e delle politiche del lavoro. Secondo il famoso pizzaiolo, presentato da chi scrive come “pizzaiolo con appeal mediatico e consensi unanimi“, il motivo per cui non riesce a trovare personale è che troppi prendono il reddito di cittadinanza. Più comodo – secondo Oliva – stare a casa o lavorare a nero. Quindi, la sua pizzeria non trova staff.
Considerando che su LinkedIn un’offerta di lavoro si potrebbe pubblicare anche a gratis, ma che è più efficace comunque investirci qualche euro, questa richiesta di personale fatta su un sito d’informazione sembrerebbe addirittura funzionale alla grandezza dell’impresa.
“Zitto chi sape ‘o juoco”
Chi lavora nel settore (giornalistico, si intende) di queste storie ne sente a bizzeffe: c’è sempre un imprenditore che – quasi sempre sotto l’estate – lamenta assenza di aspiranti lavoratori.
E una volta è il reddito di cittadinanza, e un’altra volta sono i giovani che non hanno voglia di fare niente, e un’altra volta ancora è che gli italiani “vogliono comunque andare in vacanza pure se si lamentano che sono poveri, altro che crisi”, e ancora altri e altri argomenti che strizzano l’occhio a farsi pubblicare sui giornali. Storia vecchia che va avanti da tempo: l’appello è monodirezionale, la voce che ne giova una, e come dice quel mio vecchio zio “zitto chi sape ‘o juoco”.
Resta, però, il dubbio di leggere certe affermazioni di un pizzaiolo e chiedersi: ma sulla scorta di quali dati si emette una sentenza sul reddito di cittadinanza? Si hanno controprove? Si tratta di una sua squisita valutazione basata su sensazioni personali? Se così, perchè dovrebbe avere alcun tipo di rilevanza?
Forse perché oggi chi è nell’olimpo dei pizzaioli superstar può dire tutto e esprimere la propria opinione su tutto?
Permettetemi allora di andare controcorrente e preferire tanti ragazzi cresciuti nel sacrificio e nella cultura del lavoro che paga, che lasciano che a parlare sia ciò che preparano nelle cucine e non quello che il patinato mondo della comunicazione (e marketing) suggerisce loro.