L’Islanda, paese leader in Europa, e probabilmente nel mondo, per quanto riguarda le politiche green, le strategie tese ad implementare fonti rinnovabili di energia, e per la gestione della propria “carbon footprint”, torna a far parlare di sé, con una sperimentazione dall’enorme potenziale, in grado di poter rivoluzionare l’approccio globale alle politiche ambientali. Proprio in Islanda, infatti, nella giornata di oggi, è stato azionato il più grande impianto al mondo progettato per “risucchiare” l’anidride carbonica dall’aria e trasformarla in minerali, come affermato dalle aziende responsabili della sua progettazione e costruzione in una conferenza stampa tenutasi lo scorso mercoledì
L’impianto, chiamato “Orca”, dalla parola islandese “orka” che significa per l’appunto “energia”, è il risultato di uno sforzo concettuale ed ingegneristico durato anni, e si compone in quattro diverse “unità” funzionali, ognuna composta da quelle che parrebbero essere due semplici scatole di metallo, non dissimili dai classici container per il trasporto navale, il cui grado di raffinatezza tecnica è in realtà a dir poco futuristico.
Costruito dalla svizzera Climeworks e dall’islandese Carbfix, si stima che Orca sarà in grado di estrarre ben 4.000 tonnellate di anidride carbonica dall’aria ogni anno, quando verrà implementata a pieno regime al termine della sperimentazione, riuscendo a convertire i materiali assorbiti in sostanze minerali, riutilizzabili nei modi più disparati.
Va subito chiarita una cosa però: sebbene si tratti di un’invenzione potenzialmente rivoluzionaria, date le enormi quantità di anidride carbonica che rilasciamo ogni anno nella nostra atmosfera, per poter ottenere un risultato soddisfacente, sarà necessario in futuro costruire e mettere in funzione una grandissima quantità di unità “Orca”, fortunatamente progettate per operare in regime di “carbon neutrality”, e dunque sfruttando soltanto energia rinnovabile, come il geotermico, il solare o l’eolico.
Secondo la US Environmental Protection Agency, infatti, la capacità massima stimata di 4.000 tonnellate di CO2 all’anno equivale alle emissioni di circa 870 automobili, un dato promettente ma comunque una goccia nell’oceano di emissioni inquinanti prodotte dalla razza umana ogni anno.
La costruzione dell’impianto è costata tra i 10 e i 15 milioni di dollari, ha riferito Bloomberg, ma si stima che i prezzi di costruzione per le future unità potranno essere tagliati fino al 90%, poiché gran parte delle somme spese al momento sono state impiegate in fase di progettazione e di testing.
Per raccogliere l’anidride carbonica, l’impianto utilizza ventilatori per attirare l’aria in un collettore, che ha uno speciale materiale filtrante al suo interno. Una volta che il materiale filtrante è “pieno” di CO2, il collettore viene spento, e la temperatura viene progressivamente aumentata per “scollare” la CO2 dal materiale, dopo di che il gas, in forma altamente concentrata, potrà essere raccolto.
La CO2 viene poi mescolata con l’acqua, prima di essere iniettata ad una profondità di 1.000 metri nella vicina roccia basaltica, dove viene successivamente mineralizzata. I sostenitori della cosiddetta “cattura e stoccaggio” del carbonio si sono detti convinti che queste tecnologie potranno un giorno diventare uno strumento importante nella lotta contro il cambiamento climatico grazie al potenziale riutilizzo delle sostanze accumulate in campo industriale.
I critici, tuttavia, sostengono che la tecnologia è ancora proibitivamente costosa, e che potrebbe richiedere decenni per funzionare su scala globale.