Cyberbullismo in aumento con il lockdown: dati allarmanti


Cyberbullismo – Hanno tra gli 8 e i 9 anni, sono quasi sempre compagni di classe e trascorrono gran parte del loro tempo sui social, che siano chat di WhatsApp o Facebook e Instagram.

Cyberbullismo, dati allarmanti e in forte aumento con il lockdown

Appare ben delineata la figura dei ragazzini che diventano carnefici nell’esercitare azioni di bullismo e cyberbullismo ai danni di loro coetanei. E, dato ancor più allarmante, in tempi di pandemia, è che la piazza dove il fenomeno si manifestava finora oggi è diventata da fisica a virtuale.

 width=A spiegarlo è Elisa Lorè, psicologa, psicoterapeuta, neuropsicologa e criminologa (fa parte inoltre del gruppo di lavoro per la Ricerca e l’intervento in psicologia scolastica dell’Ordine degli psicologi della Regione Campania), che interviene sul tema alla luce del protocollo siglato tra Ordine degli Psicologi della Campania e Ufficio scolastico regionale della Campania «seguito ad una lunga trattativa andata avanti da settembre 2020 per volere dell’Ordine e del nostro presidente Armando Cozzuto, che ha creduto all’importanza della psicologia scolastica in questo momento storico», sottolinea.

Dottoressa, com’è cambiato lo scenario del disagio giovanile in quest’ultimo anno?

«Questo periodo iniziato un anno fa ha comportato una graduale chiusura a cui abbiamo assistito a tutti i livelli. Nella prima fase ossia tra marzo e aprile non si è avvertito molto il disagio psicologico. In quei mesi c’era un clima di novità e di speranza. A settembre scorso poi si è delineato un nuovo quadro e questo ha impattato fortemente sulla psiche, soprattutto dei giovanissimi».

A febbraio scorso è stato siglato un protocollo d’intesa tra Ordine degli Psicologi della Campania e Ufficio scolastico regionale finalizzato a servizi di psicologica scolastica. In che cosa consiste?

«Alla luce del precedente protocollo tra Cnop (Consiglio nazionale Ordine psicologi) e Ministero dell’istruzione, in Campania hanno già aderito 699 istituti campani, più del 70%. Consiste nell’ingresso di uno psicologo nella scuola per fornire un supporto al disagio degli studenti e delle loro famiglie, ma anche del personale scolastico».

Quanto ha influito la didattica a distanza nell’aumento dei casi di bullismo e cyberbullismo?

«Tantissimo. Anche se non abbiamo ancora dati certificati, attraverso un’analisi clinica abbiamo però constatato che siamo di fronte a un aumento dello stato di alienazione dei ragazzi, che sono limitati nelle relazioni sociali. Senza contare che con la dad si profila anche il rischio di dispersione scolastica. Ma uno dei dati più evidenti è il ridimensionamento del bullismo fisico e, di conseguenza, un aumento di quello cybernetico».

Perché accade?

«Perché i ragazzi si ritrovano in questo momento storico in altre piazze, quelle virtuali, che sono i social network e che invece richiedono un altro tipo di educazione. La comunicazione è verbale e visiva. Così si creano forme di disagio che vanno ad aumentare l’uso disfunzionante dei social, cioè la convinzione che vi sia un filtro che ci consenta di esprimerci senza le regole del rispetto verso gli altri. C’è la mancata tutela della privacy, per cui è molto semplice essere violati e la distanza abbassa molto la considerazione dell’altro. La conseguenza è la diffusione smodata di frasi, chat e immagini».

Chi sono i cyberbulli?

«Purtroppo l’età si è abbassata. Iniziano dalla terza o quarta elementare. Quindi a 8 o 9 anni. Attraverso falsi profili che creano sui social con la finalità di prendere in giro, si arriva alla mortificazione dell’altro. In questo meccanismo si evidenziano tre costanti: l’intenzionalità, la continuità e il rapporto asimmetrico con la vittima».

Quali sono le cause di questo acuirsi del fenomeno?

«Senz’altro sono da addebitare al momento storico che stiamo vivendo, poiché si assottiglia il confine tra reale e virtuale. Così la piazza dove prima avvenivano gli episodi di bullismo, ora si trasforma in piazza virtuale e si innesca un meccanismo a catena».

Ossia?

«Se in un gruppo di WhatsApp ti dico “scemo”, non solo lo leggono gli altri, ma chiunque può prenderne atto e riprendere il discorso. Ecco allora che il nostro servizio come psicologi nelle scuole, visto come intervento di rete, si pone dalla parte di studenti, docenti e famiglie».

Un consiglio per le famiglie?

«Insieme allo psicologo scolastico è necessario ampliare la lente di ingrandimento sui social e sulle relazioni che lì si instaurano. Va tenuto conto che la famiglia resta lo strumento di prevenzione primaria».

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