E’ trascorsa una settimana dal 13 novembre, dagli attentati che hanno sconvolto la vita della Francia, della vecchia Europa e del mondo. Non vi è un angolo in questa pianeta in cui non sia arrivata la notizia, lo sgomento, la solidarietà.
Fiumi di parole sono seguiti immediatamente dopo che l’oscurità è calato su tutti noi; almeno su quelli più vicini per cultura, confini, tradizioni.
Si è analizzata qualsiasi cosa in questi sette giorni, dalla caccia al terrorista fuggitivo, al passaporto che miracolosamente esce indenne da un conflitto a fuoco vicino al terrorista “kamikaze”, alle foto, ai processi sul social network, alle notizie false.
Unico punto fermo di tutto questo bailamme è che questi folli, assassini, sembrano uccidano in nome di “Dio” il loro Dio e quindi “Allah”.
Quella presenza ultraterrena, che avvalendosi di questo suo status possa permettersi di muovere i fili di migliaia di vite a suo piacimento.
Eppure sembra una storia già sentita, o forse letta sui libri di storia.
Ah, certo, le Crociate!
Sembrava che noi occidentali fossimo oltre dal credere a certe “favole”; eppure, pare che a buona parte di società italiana e non solo, piaccia credere che ancora si muovano, vite, armi, per il solo fine supremo di fare la volontà di Allah.
Se cosi fosse è inaccettabile che si uccidano gli “infedeli”, cioè chi non professa la loro fede e che hanno una condotta di vita discutibile, sempre secondo certi canoni o filoni religiosi.
E anche qui sopraggiunge una similitudine d’intenti. Non siamo noi quelli che sono andati a fare mille battaglie, conquistando nuove terre, soggiogando alla nostra religione altri popoli, mietendo carneficine, sacchegiamenti e perpetrando sulle popolazioni locali ogni genere di crimine?
#NotinmyName
Premesso tutte queste semplici domande e condannando sempre e comunque chi uccide un altro essere umano, sarebbe opportuno fare delle riflessioni. Certe organizzazioni terroristiche le abbiamo create noi o meglio da più parti ormai spuntano notizie di evidenti connessioni tra i governi occidentali e loro. Senza indugiare oltre su ciò che appartiene a epoche passate e riallacciandoci alla situazione attuale, basta tornare con la mente semplicemente al 2001 e nello specifico all’11 settembre 2001: il punto di non ritorno, dove per la prima volta nella storia contemporanea si è palesato uno spettro antico, arcaico, quella di un attacco terroristico in nome di un Dio.
Se poi Dio è quello dei musulmani, ecco che la conseguente paura di tutti loro è sembrata agli occhi del mondo la via più semplice dove veicolare paure, insicurezze e terrore.
Tutto ciò che egli rappresenta, dal modo di vestire, alla sua vita, alla sua Fede, sembra essere fonte di sospetto. Diventano loro i veri perseguitati, loro costretti a vivere fuori dai loro stati spesso più per costrizione che per scelta. Ogni volta che avvengono simili atti, il mondo chiede conto a loro,e quasi ordina in maniera subdola di doversi giustificare dal professare quel credo, e pubblicamente dire Not in my name.
Da quel giorno, davvero è cambiato qualcosa, in tutti noi, ma anche in loro. Queste organizzazioni trincerandosi dietro un credo religioso ne hanno fatto strumento a uso e consumo proprio. Instillando credi inquinati nei propri adepti e paure in chi non segue i loro dettami. Attenzione al momento opportuno anche i nostri governi usano quest’arma contro di noi cittadini per giustificare, gli scempi, le invasioni, le morti che non hanno come fine il rispetto di certi ideali, come per loro non vi è nulla di religioso.
Sono interessi economici-finanziari e politici che muovono entrambe le parti.
Veramente siete convinti che il pericolo, la paura venga dalla religione che professa un altro essere umano?
Veramente credete che ci sia un Dio o presunto tale che voglia simili barbarie?
E se cosi fosse, il vero perseguitato dovrebbe essere lui, il ricercato numero uno al mondo. Se davvero esistesse, dovrebbe palesarsi, assumersi le sue colpe.
Salire sul banco degli imputati.
Se potesse, l’unica cosa che direbbe è: #NotinmyName.