Le elezioni parlamentari in Nuova Zelanda hanno visto la netta affermazione del Partito laburista (New Zealand Labour Party) del primo ministro Jacinda Ardern con il 49,15% dei consensi, mentre il principale partito dell’opposizione, il Partito nazionale della Nuova Zelanda (New Zealand National Party) si è attestato sul 26,8% e la sua leader, la thatcheriana Judith Collins, ha già ammesso la sua sconfitta in un discorso televisivo. Gli altri partiti in competizione, l’ACT New Zealand, il Partito verde della Nuova Zelanda, il Partito Maori e il New Zealand First hanno ottenuto rispettivamente il 7,98%, il 7,57%, l’1% e il 2,67%.
Elezioni in Nuova Zelanda – Chi è Jacinda Ardern?
Quarantenne, laureata all’università di Waikato, iniziò la sua attività come ricercatrice nel gabinetto del primo ministro neozelandese Helen Clark. Successivamente lavorò nel team di consulenti al servizio di Tony Blair e nel 2008 fu eletta presidente dell’Unione internazionale della Gioventù Socialista. Il grande salto avvenne però nel 2017, quando fu eletta alle elezioni suppletive in Parlamento nelle fila del Partito laburista assumendo poi dal primo agosto dello stesso anno la carica di leader del partito. Il 26 ottobre 2017, all’età di 37 anni, assunse poi la guida del Paese, decidendo di conciliare lavoro e maternità, con la nascita della figlia Neve, avuta con il conduttore televisivo Clarke Gayford salendo alla ribalta dei riflettori internazionali con la scelta, l’anno seguente, di portarla con sé all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
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La politica volta “all’empatia” e alla “fermezza”
Durante i suoi primi tre anni da primo ministro, la Ardern si è dovuta confrontare con eventi inconsueti per un paese tranquillo come la Nuova Zelanda. Il 15 marzo 2019, la strage di Christchurch ad opera del suprematista bianco australiano Brenton Tarrant, causò la morte di 51 musulmani e nel dicembre dello stesso anno l’eruzione del vulcano Waakari, sull’isola di White Island, portò alla morte di alcune persone. Le immagini del primo ministro con il velo islamico, nell’atto di abbracciare i familiari delle vittime, hanno fatto il giro del mondo così come la vicinanza espressa più volte nei discorsi televisivi e sul campo, per portare conforto alle popolazioni a alle vittime della furia del vulcano.
La sua fermezza si è espressa in due diversi momenti: con le misure approvate a seguito della strage di Christchurch in Parlamento per vietare le armi semiautomatiche, ma soprattutto in merito alla gestione della pandemia di Covid-19. Le decisioni, criticate da molti, di chiudere le frontiere del Paese a marzo e imporre un lockdown adottando contestualmente un sistema di tracciamento (al motto “Go hard and go early”), hanno portato alla scomparsa del virus per 102 giorni. Nonostante un focolaio ad agosto, che ha causato anche lo slittamento delle elezioni, la Nuova Zelanda ad oggi, grazie alle politiche adottate, può contare meno di 2000 contagiati in tutto e 25 morti.
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Le prossime mosse e i due referendum
Forte del 49,15% dei consensi, è quasi scontato che il primo ministro Ardern farà un secondo mandato. Il sistema parlamentare neozelandese è monocamerale e il numero di seggi è pari a 120 seggi. Un partito per governare solo deve conquistare almeno 61 seggi: il Partito laburista ne ha ora 64. Potrebbero quindi governare da soli, oppure decidere di formare un governo con il Partito verde della Nuova Zelanda, unica forza con le più alte affinità politiche con il Partito laburista. Inoltre ora che i contagi sono in netta risalita in molte parti del mondo, è altamente probabile che il primo ministro continui sulla linea dura della lotta al Coronavirus proseguendo a mantenere i confini chiusi ai visitatori e ai detentori di visto temporaneo per motivi di lavoro o di studio.
I neozelandesi, oltre al voto per eleggere i parlamentari, hanno votato anche per due referendum: uno sulla legalizzazione della marijuana e l’altro sulla legge relativa all’eutanasia. I risultati preliminari verranno annunciati il prossimo 30 ottobre, anche se gli esiti ufficiali saranno divulgati poi il 6 novembre. Mentre il primo rappresenta un referendum consultivo, quindi anche in previsione di una vittoria, dovrebbe essere necessaria una legge di attuazione, il secondo, l’end of life choice act, entrerebbe subito in vigore in caso di vittoria del sì.