<strong>Femminile palestinese incontra Michele Giorgio – 24 maggio al Circolo Arci Marea di Salerno.
Comunicato stampa
“Parte la sesta edizione della rassegna Femminile palestinese, curata da Maria Rosaria Greco e promossa dal Centro di produzione teatrale Casa del Contemporaneo, con un piccolo anticipo sul programma autunnale 2019.
Venerdì 24 maggio, alle ore 19,00 si tiene il primo appuntamento presso il Circolo Arci Marea di via Capobianco 1, Salerno, con l’incontro “Femminile palestinese incontra Michele Giorgio” in cui l’autore presenta il libro Israele, mito e realtà, il movimento sionista e la Nakba palestinese settant’anni dopo, Edizioni Alegre, scritto insieme a Chiara Cruciati. Intervengono Michele Giorgio, giornalista corrispondente da Gerusalemme de Il Manifesto, Giso Amendola, docente di Sociologia del diritto, Università degli studi di Salerno e Roberto Prinzi, giornalista di Nena News Agency.
“Il libro è uscito nel maggio 2018 – racconta la curatrice della rassegna – a settant’anni da un evento che ha trasformato il Medio Oriente e il mondo intero: la fondazione dello Stato di Israele e la Nakba, cioè la catastrofe per il popolo palestinese, che io preferisco chiamare con lo storico israeliano Ilan Pappe, la “pulizia etnica della Palestina.
Le parole infatti sono importanti e quello che accadde nel 1948 in Palestina non fu semplicemente una catastrofe (Nakba), causata da fatalità e senza responsabili. Le responsabilità erano ben delineate, c’era un piano (Dalet) studiato a tavolino per anni. Dobbiamo chiamarla pulizia etnica, perché, in questo caso, l’esodo forzato di oltre 800.000 persone assume una connotazione criminosa, con una vittima e un aggressore. La pulizia etnica è un crimine riconosciuto dal diritto internazionale, e Israele potrebbe rinascere da una corretta assunzione di responsabilità, affrontando per esempio la questione del “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi del 1948, argomento completamente rimosso dalla vecchia ortodossia pacifista. Purtroppo ad oggi Israele non intende riconoscere alcun diritto al ritorno ai palestinesi perché dovrebbe ammettere di averli espulsi.”
Nel libro viene spiegato bene invece che Israele favorisce l’aliyah, cioè il ritorno degli ebrei con apposita “legge del ritorno” che agevola ogni singolo ebreo a tornare “nella nazione a cui naturalmente appartiene”. E questo è uno dei miti di cui parlano gli autori. Al contrario ai palestinesi viene applicata la legge sulla prevenzione dell’infiltrazione che vieta, dopo l’espulsione, di ritornare e tantomeno di pensare a un risarcimento. Questa la realtà.
Sono tanti i miti e le relative realtà che si inseguono, si contrappongono nel libro, come nella storia e nello scenario contemporaneo dello stato israeliano. Michele Giorgio e Chiara Cruciati, con questo lavoro, analizzano i valori fondanti del progetto sionista facendo emergere contraddizioni stridenti faticosamente mascherate da una narrazione mitologica di stato.
Il primo mito è quello della terra promessa, che stava lì in attesa di accogliere quello che poi sarebbe diventato lo stato ebraico. In realtà su quella stessa terra viveva da sempre un’altra popolazione, con un proprio sistema culturale, sociale ed economico, per cui non era affatto disabitata. Quindi la mitologia sul focolare ebraico dove far tornare un popolo perseguitato, in realtà si traduce nella creazione di un feroce sistema di colonialismo da insediamento della Palestina il cui obiettivo è semplicemente, e brutalmente, il controllo di più terra possibile con il minor numero di palestinesi dentro.
Un altro mito è la pace, che non fa parte del progetto sionista. Per Israele la pace è solo la mera accettazione da parte palestinese di uno status quo di colonizzazione totale, cioè di controllo della terra e di sottomissione incondizionata della popolazione autoctona, costretta a un regime di apartheid.
Infine famosissimo è il mito della democrazia israeliana che in realtà è uno dei modelli securitari di controllo più aggressivi, importato sempre più anche in Europa nella lotta contro il “pericolo islamico”. Ormai le “civiltà” occidentali ricorrono spesso a queste competenze che Israele ha sperimentato e sviluppato proprio nella lotta al movimento di liberazione palestinese, non al terrorismo. E questo è un altro mito che la narrazione sionista ha saputo affermare, cioè l’equazione fra terrorismo e lotta di liberazione palestinese.
“Nel libro – prosegue Maria Rosaria Greco – vengono analizzati molti altri miti e rispettive realtà di riferimento, e ci sono anche molte interviste a esperti, studiosi e protagonisti. L’ultimo capitolo è un’intervista allo storico israeliano Ilan Pappe, alla quale ho avuto il piacere di essere presente, perché si è tenuta proprio qui a Salerno lo scorso marzo 2018, durante uno degli appuntamenti di Femminile palestinese. Con Pappe organizzammo una conferenza all’Università di Salerno, insieme a Giso Amendola, ordinario di sociologia del diritto, sulla decolonizzazione e libertà accademica, non solo della Palestina. Partecipò anche l’antropologa italo palestinese Ruba Salih. Sarebbe interessante oggi, dopo un anno circa e nell’attuale scenario politico italiano, fare il punto della situazione su questi temi.”
La rassegna Femminile palestinese prosegue dopo l’estate con vari appuntamenti. Il primo è il progetto di comunicazione sociale “Comunicare la Palestina: una narrazione diversa” sviluppato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli. L’idea era quella di coinvolgere il mondo del design della comunicazione, lanciando a una sfida: la comunicazione di utilità sociale può essere anche azione politica? L’adesione è stata massiccia: illustratori, designer, docenti in università e accademie italiane hanno proposto un manifesto per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un tema spesso taciuto o abitato da miti ricorrenti. Tutti i lavori pervenuti sono portatori di una narrazione diversa, che ha saputo andare oltre quella dei media.
I progetti dei designer saranno oggetto di una mostra con relativo catalogo e infine ci sarà una tavola rotonda che affronterà il tema della comunicazione sociale per capire l’utilità e l’efficacia del design nel trasferire idee politiche ed opinioni. La pulizia etnica della Palestina dura dal 1948 e il racconto dei fatti è unico, quello sionista che vede i palestinesi come terroristi e gli israeliani come vittime. Forse la comunicazione sociale deve scendere in campo per delineare confini diversi di questa narrazione dominante.”