La Cina sperimenta una nuova tecnologia che converte le scorie nucleari in vetro


La Cina ha aperto questo sabato il suo primo impianto per trasformare, “novità” tecnologica assolutamente interessante, i rifiuti radioattivi in vetro. la struttura è stata inaugurata a Guangyuan, nella provincia sud-occidentale del Sichuan, e sarà in grado di processare diverse centinaia di metri cubi di rifiuti liquidi altamente radioattivi ogni anno, secondo quanto riportato dai media statali.

Anche se il Paese orientale ha attualmente un numero relativamente ridotto di impianti nucleari, con meno centrali, ad esempio, della Francia o degli Stati Uniti, sta rapidamente espandendo l’utilizzo dell’energia atomica come parte della strategia per tagliare le proprie emissioni di carbonio e per abbassare i propri livelli di inquinamento, costruendo nuovi siti.

I lavori sui nuovi reattori stanno proseguendo al ritmo serrato di sette o otto nuovi impianti all’anno, il che significa che lo smaltimento delle scorie diventerà un problema crescente e sempre più difficile da affrontare.

Anche se alcuni elementi radioattivi, come l’uranio, possono essere riciclati in appositi “impianti di ritrattamento”, il restante combustibile esausto deve necessariamente essere smaltito in modo sicuro, con modalità alternative, circostanza che rappresenta una delle principali sfide per chi intende puntare sull’energia atomica.

Una soluzione temporanea, adottata nella gran parte degli stabilimenti esistenti altrove, è quella di “frantumare” le scorie e di mescolarle con acqua, per poi procedere allo stoccaggio temporaneo in contenitori di metallo pressurizzati.

I materiali di risulta “creati” con questo processo rimangono però altamente radioattivi, ed è proprio per questo che, grazie al lavoro di un team di ricercatori, si è approdati ad un innovativo processo di “vetrificazione nucleare”, che trasforma le scorie prodotte, riscaldandole ad alte temperature, in vetro, più sicuro a lungo termine perché intrappola al proprio interno gli elementi nocivi, permettendo lo stoccaggio in siti caratterizzati da un rischio considerevolmente minore per l’ambiente.

L’idea, in realtà, non è nuova, e circola negli ambienti scientifici ed accademici da molto tempo, ma metterla in pratica non si è rivelato assolutamente semplice: circa la metà dei 10 impianti di vetrificazione aperti negli ultimi quattro decenni sono stati infatti chiusi a causa di difficoltà tecniche o finanziarie.

Nei primi tempi, stando alle dichiarazioni di un portavoce del team di ricerca, gli ingegneri mescolavano semplicemente le scorie liquide con materiale per la produzione del vetro, come ad esempio il silicio, in un crogiolo appositamente studiato. Ma i rifiuti radioattivi prodotti con questa tecnica erano estremamente corrosivi, e dunque si è aperta la “caccia” a sistemi ed a metodiche alternative.

La neonata metodologia non è tuttavia scevra di problematiche tecniche, ed alcuni dei ricercatori coinvolti nel progetto sostengono di star cercando modi per rendere il processo ancor più sicuro ed economico.

La maggior parte degli impianti negli Stati Uniti e in Europa usano una variazione sul tema dello stesso concetto, riscaldando il liquido in un forno elettrico a temperature di oltre 1.100 Celsius, ottenendo in questo modo un materiale simile a ceramica, più difficile, però, da stoccare in sicurezza.

Le attrezzature necessarie per questo moderno “metodo cinese”, come ad esempio il forno, dovranno essere sostituite ogni cinque anni circa a causa dell’azione altamente erosiva dei materiali prodotti, ed è proprio su tali aspetti che i ricercatori contano di investire i propri sforzi futuri, individuando nuove soluzioni per ottenere attrezzature più resistenti, sicure e durevoli.

 

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