La Lunga Marcia. Con questo titolo, lo Speciale del Tg1 mandato in onda su Rai 1 lunedì 12 ottobre, oltre a fare un milione di telespettatori, ha avuto come scopo fondamentale, raccontare da vicino, fianco a fianco, l’esodo di queste vite, dalla loro patria la Siria verso l’Europa. Una lunga, estenuante marcia per settimane.
La Siria era un Paese bellissimo, chi l’avrebbe detto che saremmo stati costretti a elemosinare tutto
La Lunga Marcia: il viaggio che dalla Siria li conduce in Europa
Partono dalla costa turca di Izmir e approdano ogni giorno sull’ isola di Lesbo (Grecia), gommoni carichi di speranza, di vite, e di paure. Tra il primo agosto e il 30 settembre 2015 sono arrivati duecentosessantamila profughi, di cui centosettantamila siriani, che fuggono da una guerra che impera da cinque anni.
Due ore di mare costipati su gommoni che ne conterrebbero trenta, ma ne portano settanta
Ci hanno nascosti per tre giorni, senza coperte e cibo, prima di essere imbarcati sui gommoni
Quanto costa il viaggio della speranza?
Il costo per ogni persona, chiesto da chi gestisce questo traffico di vite e cioè la mafia turca, è di milleduecento euro. Questo non importa a chi è disperato. Paga e lo farà ancora finché potrà, per assicurarsi un futuro sereno per se, i suoi figli, e i familiari che potranno forse un giorno, ricongiungersi a loro. Tra essi, tutte le fasce di età, bambini, giovani, anziani, persone disabili; tutti i ceti sociali, contadini, medici, funzionari statali. Arrivano dopo due ore di traversata, sollevati gli adulti, piangendo i bambini, ringraziano Dio. Non immaginano neppure, le difficoltà che dovranno ancora incontrare, in questa marcia. Sono solo all’inizio.
Non avevamo scelta . Non c’è nulla di peggio oggi che stare in Siria
Il primo a parlare davanti alle telecamere è Aeham Ahmad, il leggendario pianista che viene da Yarmouk, campo profughi di diciottomila anime, tristemente noto a chi segue le vicende dei campi profughi in Medio Oriente.
Ho resistito per due anni sotto le bombe, prima nel mio campo c’era musica ovunque. Non potevo vivere senza suonare, così, quando ho avuto l’idea di pubblicare i miei video tra le macerie del campo, voi vi siete resi conto della tragedia di Yarmouk. Ho potuto suonare fino al giorno in cui non me lo hanno distrutto quelli dell’IS
Cosi, prendo la decisione di andare via, lì per noi non c’è speranza
In terra greca compone questi versi:
E tu che fra le nazioni gridi, la morte incombe sul mio Paese.
Migrazioni, omicidi, rapimenti e fame. Il mio cuore fra le costole si spezza
Il tratto Mytilini –Pireo, 70 km a piedi
Da qui parte la prima marcia a piedi, settanta chilometri verso il porto di Mytilini. Non possono prendere taxi, come afferma un autista del posto, pena multe pesanti per questi ultimi. Da qui partono tutti i traghetti verso il Pireo e quindi verso l’Europa continentale.
Chiunque abbia seguito lo speciale conosce anche Abud, giovane studente universitario e la sua famiglia, che parla un inglese fluente come la maggior parte di loro. Da subito diventa familiare il suo volto pulito, occhi grandi pieni di speranze e di tristezza, di chi ha già visto tanta sofferenza, nella sua giovane vita. La sua è la storia di tanti.
Dobbiamo stare molto attenti ai nostri passaporti, perché cercano di comprarli o prenderli (arabi, iracheni, algerini, algerini) per passare come siriani.
A bordo di bus, in direzione della frontiera greca-macedone (Idomeni-Gevgelija).
Attraversano un valico usato dalla Macedonia solo per i profughi siriani, da qui direttamente verso il confine serbo, attraverso la no-mean’s road. Di notte in questa terra di nessuno, di confine appunto, dove le uniche luci sono quelle dei telefonini. Si cammina a fatica, cercando di non cadere o inciampare su ciò che nasconde con l’ausilio del buio, questo tragitto impervio.
E’ come se l’Europa volesse nascondere, questo fiume di profughi che lo attraversa, all’interno. Prova ad arginarlo e a dirottarlo su strade secondarie
Verso la piccola stazione di Presevo (Serbia) costipati su treni e con due poliziotti a controllare ogni carrozza.
Altra tappa: frontiera serba – Sid – direzione Croazia.
Altra marcia, in mezzo al nulla, di modo che nessuno veda questo fiume di vite. Lungo il tortuoso tragitto, si aiutano a vicenda; giovani soccorrono anziani, ammalati; qua e là, volontari di organizzazione non governative danno un minimo di assistenza. Stanchi, amareggiati, si chiedono:
Perchè ci trattano cosi, siamo profughi, scappiamo da una guerra, siamo in marcia da settimane, perchè non hanno aperto dei canali umanitari? Non capisco… non capisco
Frontiera di Trovornik (Croazia)-Campo di Opatovac
Il primo grande campo che non riesce a contenere l’enorme flusso di circa tremila persone.
Qui mi vergogno di essere europeo, le famiglie sono smembrate, separate senza nessuna logica
Difatti a caso, li dividono dai loro cari, li fotografano, li schedano. Tensione altissima all’interno per giorni in attesa di bus, che dovrebbero portarli a un altro confine. Sì, ma quale? L’Ungheria!
Tutti stremati, si afflosciano come sacchi presi a calci dal mondo
Tappa successiva la stazione di Hegyeshalom (Ungheria), treni speciali diretti a Vienna.
L’arrivo a Vienna!
Arrivati finalmente a Vienna, alcuni di loro sorridono, rincontrandosi con la troupe televisiva, esclamano:
Questa è l’Europa!
Finalmente, trovano accoglienza, umanità, pasti caldi, assistenza dei volontari. Perché è questo che l’Europa dovrebbe fare e non nasconderli. Qui non finisce il loro pellegrinare, ognuno proverà a rifarsi una vita, in uno dei Paesi Europei. Meta ambita la Germania. In questo speciale spesso sono ricorse immagini che portano alla memoria un recente passato, che noi europei pensiamo di aver metabolizzato. Non sono cosi! Nuovi muri si sono alzati, non solo nella mente di talune correnti politiche o di governo ma anche, di fatto. Questa vecchia Europa, che ancora non impara dalle lezioni del passato.
Raggiungiamo telefonicamente Amedeo Ricucci, giornalista Rai, che con la sua troupe ha seguito fianco a fianco questo esodo partendo dalla costa greca.
Intervista ad Amedeo Ricucci, giornalista Rai
D. Spesso le persone sono confuse dalle immagini di pochi minuti che ci arrivano. Un reportage movie che da più respiro a un esodo biblico come questo, è servito a far capire, secondo lei?
La nostra missione era ed è far comprendere che tutte queste persone, che molti vedono solo come un problema di ordine pubblico, sono essere umani. I Siriani son persone istruite, laureati, preparati e che sono costretti a scappare da una guerra. Condividendone le giornate e i percorsi, ci interessava far capire attraverso le loro storie, che sono soggetti e non oggetti. Alcuni che hanno visto il video hanno commentato dicendo: guarda, hanno i telefonini! Questi sono stati fondamentali per loro, gli hanno permesso di geolocalizzarsi, capire le strade da fare, tenersi in contatto con altri che erano partiti con loro per ricongiungersi lungo il cammino, guardare le foto dei loro cari.
D. Spesso sono state designate loro, fra uno stato e l’altro, vecchie strade di confine in disuso. Questo ha creato molta stanchezza, sconforto, difficoltà enormi. Perché secondo lei?
Primo, come dico nel reportage: vogliono farli passare come invisibili, di modo che nessuno si accorga del loro transito; secondo, perché gestire un flusso di migliaia di persone al giorno non è facile.
D. La presenza di una telecamera e di giornalisti, pensa che in qualche modo abbia avvantaggiato il viaggio di alcuni di loro, cioè si sentivano “protetti”?
Penso di sì, quando eravamo costretti a separarci in alcuni punti per attraversare le frontiere, sia noi, sia loro, speravamo di ricongiungerci quanto prima. In questo lo scambio di numeri è stato fondamentale.
D. Questo lungo viaggio finisce a Vienna, dove finalmente vediamo il sorriso sul volto di alcuni di loro. Sarebbe interessante e bello, partire da quella stazione per sapere se i vari Abud, Aeham e i tanti altri che ha conosciuto, sono riusciti a inserirsi e/o raggiungere la meta prefissa?
Si sarebbe bello, ma questo poi non dipende solo da noi.
D. Quando ci si trova a trascorrere giorni, a vivere a fianco a fianco con queste persone, le loro famiglie, i loro disagi, le paure, la stanchezza, i loro ricordi e racconti; tutte queste emozioni che arrivano come si gestiscono, si filtrano?
Rimangono tutte, con molti di loro mi sento ancora e spero di rivederli.
Ringraziamo Amedeo Ricucci e con lui la sua troupe, per questo tassello prezioso e fondamentale della nostra storia attuale.
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