La vita è bella: giorno della memoria
La vita è bella: Guido Orefice (Roberto Benigni) si trasferisce ad Arezzo per lavorare nell’albergo dove lavora lo zio Eliseo. Qui fa la conoscenza di Dora (Nicoletta Braschi) che alla fine sposerà e avrà un figlio. Guido però è un ebreo. E, nel 1944, lui, Eliseo e Giosuè (il figlio di cinque anni) vengono deportati in campo di concentramento. Per nascondere al figlio le atrocità del campo, farà finta che sia tutta una finzione.
Il copione originale prevedeva un film comico, ma Benigni virò ben presto sul soggetto poi sceneggiato. E fu subito un successo di pubblico e critica. Vinse infatti tre Oscar su sette candidature: Miglior film straniero, miglior colonna sonora originale e miglior attore.
A causa della messa in scena operata da Guido, il film fu oggetto di alcune critiche feroci ma anche stupide. Mario Monicelli accusò il film di revisionismo perché, nella scena finale, il lager dove sono prigionieri Guido e tutta la sua famiglia (Dora compresa. Infatti, pur di rimanere vicina al figlio e al marito, mente dicendo di essere ebrea) viene liberato dagli americani “Auschwitz venne liberato dai russi” disse il regista italiano.
Ma il Campo di concentramento nel film non ha un nome. Perché quello non è un campo, ma rappresenta il campo di sterminio per eccellenza. E, diversamente da quello che si pensa, il film non risparmia momenti tragici. Mentre le donne stanno mettendo via dei panni, Dora nota un gattino che cammina. Lo stesso gattino che una bambina ebrea aveva con sé durante il viaggio verso il Lager.
O la scena più significativa. Guido sta spostando il piccolo Guido da una baracca all’altra per non farlo trovare dalle guardie. E’ notte, c’è nebbia e il bambino dorme. E Guido dice “Sogna piccolo,sogna. Che forse è tutto un sogno e fra poco la mamma ci sveglia col caffèlatte”. Ma, un attimo dopo, si ferma impietrito. Di fronte a lui c’è una pila di scheletri immersi nella nebbia. E a questo punto che la commedia finisce. Perché si può ridere, ma fino a certo punto.