Per la prima volta i giudici di Caltanissetta hanno messo nero su bianco ciò che si è ormai intuito da anni: le indagini relative alla strage di via D’Amelio, in cui, il 19 luglio del 1992, morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, sono state caratterizzate da “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“.
Depositate le motivazioni del “Borsellino quater”
A distanza di un anno e due mesi dalla pronuncia del dispositivo (il 20 aprile 2017), sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e a dieci anni per calunnia i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.
La vicenda del falso pentito Scarantino
La Corte, in una lunghissima ricostruzione, dedica un lungo capitolo al falso pentito Vincenzo Scarantino.
Per lui, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di rocambolesche ritrattazioni nel corso di vent’anni di processi, i giudici hanno dichiarato la prescrizione, concedendogli l’attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri.
La ricostruzione del depistaggio
Le motivazioni, lunghe 1.865 pagine, ricostruiscono quindi il clamoroso depistaggio delle indagini sulla strage costata la vita a Borsellino e agli agenti della scorta.
Chi sono gli “altri” che indussero Scarantino a dichiarare il falso? A loro la Corte si riferisce nelle motivazioni della sentenza.
Gli investigatori: il gruppo di Arnaldo La Barbera
Si tratta di alcuni investigatori mossi da “un proposito criminoso“; altri, invece, esercitarono “in modo distorto i poteri“.
Parole durissime della Corte: si fa riferimento al gruppo che indagava sulle stragi del ’92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia poi morto.
L’attività criminosa del gruppo
Sarebbe stato questo gruppo a indirizzare l’inchiesta e costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato.
Il gruppo investigativo avrebbe compiuto ” una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell’agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte“.
Le finalità del depistaggio secondo la Corte
Quali le finalità di uno dei più clamorosi depistaggi della storia giudiziaria del Paese? La Corte tenta di avanzare delle ipotesi: come la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, “che viene evidenziata – scrivono i magistrati – dalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee al loro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà“.
Oppure, sospetto ancor più inquietante, “l’occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato“.
L’agenda rossa del giudice Borsellino
Parte della motivazione è poi dedicata all’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, il diario che il il magistrato custodiva nella borsa, sparito dal luogo dell’attentato.
Il ruolo di La Barbera nella sua sparizione
Secondo i giudici, La Barbera ebbe un “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre“.
Una nuova inchiesta è in fase avanzata
Oggi La Barbera è morto e l’inchiesta sulla scomparsa dell’agenda rossa è stata archiviata, ma a Caltanissetta si continuerà a indagare: lo hanno fatto i p.m. della Procura Stefano Luciani e Gabriele Paci che, anche grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini sulla strage scoprendo il depistaggio. Inoltre, una nuova inchiesta è già in fase avanzata e riguarda i poliziotti che facevano parte del pool di La Barbera.
Secondo la Corte d’Assise di Palermo vi fu la “trattativa”
Cominciano quindi ad affiorare barlumi di verità, se anche i giudici della Corte d’Assise di Palermo, nelle motivazioni della sentenza dell’altro fondamentale processo, quello sulla cosiddetta “trattativa” fra Stato e Mafia, depositate proprio lo scorso 19 luglio, scrivono testualmente: “L’unico fatto noto di sicura rilevanza, importanza e novità verificatosi in quel periodo per l’organizzazione mafiosa sono stati i segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via d’Amelio“. E fu questo il motivo che portò alla ” improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino“.