<strong>Il 9 maggio 2018 ricorre il 40esimo anniversario della morte di Peppino Impastato, giornalista ed attivista ucciso dalla mafia, con una carica di esplosivo lungo la linea ferroviaria Trapani-Palermo,quel triste giorno del 1978, in cui fu trovato anche il cadavere di Aldo Moro, per il suo impegno civile e politico contro le cosche.
Peppino Impastato: ” I cento passi”
La sua vita, come è noto, è stata raccontata dal film, di grande successo, “I cento passi” (2000), diretto da Marco Tullio Giordana, con protagonista Luigi Lo Cascio; tanti erano infatti i passi di distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella di Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, soprannominato da Peppino “Tano seduto“.
Incontro con il fratello Giovanni
Per capire cosa rimane, e cosa c’è di attuale, nella testimonianza di Peppino è stato utile partecipare ad un incontro-dibattito, dal significativo titolo “la memoria e l’impegno”, con il fratello Giovanni, che va in giro per l’Italia per mantenerne vivo il ricordo e promuovere la cultura della legalità.
Giovanni Impastato: la legalità
Ciò che è emerso, anche grazie agli interventi dei partecipanti, è davvero molto interessante. La legalità, sostiene Giovanni, “non sempre è quella delle leggi. La legalità si fonda sul rispetto della dignità umana. Bisogna battersi perché non si calpestino i diritti civili delle persone, non si minacci il lavoro, la libertà, il libero pensiero”.E molte leggi hanno introdotto norme che disprezzano la dignità umana; pertanto rispettarle non è giusto proprio per questo. Da qui l’esaltazione del valore della disobbedienza civile.
Le istituzioni e la mafia
Altro aspetto del problema: oggi le istituzioni fanno tutto quello che è necessario contro la mafia? Impastato risponde di no perché, se è vero che negli ultimi anni sono entrate in vigore norme che hanno accentuato l’aspetto repressivo (si pensi, ad esempio, a quelle che hanno disposto la confisca dei beni dei mafiosi), ciò che manca è la volontà politica di puntare più in alto, al livello superiore, quello dei “colletti bianchi”, cui lo stesso Falcone aveva più volte fatto riferimento.
Il cambiamento di identikit del mafioso
Peraltro, occorre riflettere sul fatto che è cambiato lo stesso identikit del mafioso, camorrista o ‘ndranghetista: egli non è più un rozzo contadino alla Provenzano o Riina, ma fa il medico, l’ingegnere, l’avvocato e cerca di infiltrarsi, spesso riuscendoci, negli ambienti politici ed economici per fare affari.
Si aggiunga che il territorio in cui egli opera non è più circoscritto (anzi, forse non lo è mai stato, ma oggi il fenomeno è molto più diffuso) alle classiche regioni meridionali, ma si estende a tutto il Paese, con ampie ramificazioni all’estero. In proposito, basti pensare che la Lombardia è, dopo la Sicilia, la seconda regione per numero di beni confiscati.
La mafia va dove ci sono i soldi
Si può dire, per semplificare il concetto, che la mafia va dove ci sono i soldi. La conseguenza di tutto questo è la necessità di una nuova consapevolezza di tutti nell’approccio al fenomeno mafioso, anche nel Nord Italia, dove la gente, l’uomo della strada, non può più permettersi di continuare a pensare che esso sia un problema solo del Sud; le inchieste recenti e quelle in corso dimostrano, infatti, l’esatto contrario.
Il pensiero di Giovanni Falcone
Falcone sosteneva che la mafia è fatta da uomini, e pertanto così come ha avuto un inizio dovrà avere una fine; ma è necessario capire che essa non può essere sconfitta solo con la repressione, perché è anzitutto un fenomeno culturale e di mentalità: bisogna lavorare sulla testa delle persone per cominciare a cambiare le cose. In questo senso sono molto più aperti i giovani, spesso pieni di quella sete di verità e di giustizia che, a suo tempo, fu il motore dell’azione di Peppino.
La realtà di oggi: la comunicazione e i social network
Oggi viviamo nell’era della comunicazione grazie, ma non solo, ad Internet ed ai social network ma, nello stesso tempo e paradossalmente, c’è un appiattimento culturale e del pensiero che in realtà sta facendo regredire la società. Si comunica di più, è vero, ma in modo molto più veloce e conseguentemente superficiale. Tutto ciò succede perché un sistema dominante ha deciso di imporre, per motivi politici ed economici, i suoi modelli: meno la gente pensa e più è manovrabile.
Cosa farebbe oggi Peppino Impastato
Peppino Impastato reagirebbe a tutto questo, non abbasserebbe la testa, come in vita sua non fece mai; ma, con la tecnologia del terzo millennio, si batterebbe per sostenere che un altro mondo è possibile: “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!“.
Il suo messaggio è sempre attuale
E’ questo il patrimonio che ci ha lasciato, è questa l’attualità del suo messaggio. Un messaggio di speranza e di fiducia, quelle che Giovanni e la sua famiglia coltivano da quando hanno visto tanta gente, tanti giovani, venire a Cinisi da ogni parte della Sicilia e dell’Italia per ricordare Peppino.