Politica: A volte ritornano


Il film per la televisione del 1991, diretto da Tom McLoughlin, e tratto dal racconto di Stephen King, può essere ora il titolo del ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Questo fatto clamoroso stabilisce una serie di primati della storia del sistema americano, perché Trump diventa il primo presidente repubblicano a ricoprire due mandati non consecutivi, dopo il democratico Stephen Grover Cleveland, che fu eletto la prima volta dal 1885 al 1889 e la seconda dal 1893 al 1897. Inoltre è il primo presidente eletto con una condanna penale, e il più vecchio in assoluto a insediarsi al 1600 di Pennsylvania Avenue, avendo compiuto 78 anni il 14 giugno 2024, mentre Joe Biden al momento del suo insediamento aveva qualche mese in meno, essendo nato il 20 novembre 1942.

Ora bisogna capire se questa storica vittoria potrebbe risolvere definitivamente i guai giudiziari di Trump. Il tycoon ha vinto in tutti gli stati chiave, in Pennsylvania e anche in Michigan e nel Wisconsin, dove però era chiaramente favorito. Anche la Georgia e la North Carolina si sono espressi a suo favore, facendo crollare il muro blu dei democratici, segno evidente di come le previsioni della vigilia abbiano sottovalutato la forza del populismo di Trump e del suo potente sostenitore Elon Musk.

In effetti la campagna presidenziale del 2024 potrebbe rappresentare solo l’inizio delle ambizioni politiche di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo. La sua nascita sudafricana gli impedisce di diventare presidente degli Stati Uniti, ma il Washington post riferisce che lui stesso ha voluto parlare in streaming su X, il social media di sua proprietà, con migliaia di ascoltatori, proprio mentre volava a Mar-a-Lago per seguire i risultati delle elezioni.

Il ceo di Tesla e SpaceX ha parlato della creazione di America Pac, il gruppo politico pro-Trump, dichiarando esplicitamente finanziamenti per almeno 118 milioni di dollari. Musk ha detto pure che America Pac continuerà a fare politica e si preparerà per le elezioni di medio termine e per qualsiasi tipo di tappa elettorale intermedia.

Ha voluto riprendere il linguaggio sportivo del tennis, per celebrare la vittoria di Trump, scrivendo sui social: “Game, set and match”, vale a dire, gioco, set e partita, esprimendosi già nella notte, prima dei dati definitivi, a dimostrare le sue capacità divinatorie, per poter trasformare il futuro nel senso da lui auspicato. La capacità di comunicare di Trump, insomma è apparsa in modo dirompente e imprevedibile ai suoi avversari del partito democratico.

La grande sconfitta è Kamala Harris, la vicepresidente e candidata democratica, perché ha fatto peggio di Joe Biden in molte circoscrizioni ed è rimasta addirittura sotto i risultati di Hillary Clinton, che perse contro Trump nel 2016, ma almeno vinse nel voto popolare. Donald Trump, invece ha superato le proprie performance del 2020 e in molti casi anche quelle delle elezioni del 2016. I conteggi finali questa volta sono molto definiti e non possono nemmeno permettere al partito democratico, di rivendicare una vittoria simbolica nel Paese, perché Harris è stata sconfitta da Trump, non solo nei grandi elettori, ma, al contrario di quanto accadde a Hillary Clinton, anche nel numero dei voti popolari complessivi.

Insomma La pancia dell’America questa volta si è espressa con un’alta partecipazione alle urne, e ha scelto Trump e il suo programma repubblicano. Le analisi dei flussi elettorali nei prossimi giorni chiariranno in quali gruppi di elettori il tycoon abbia trovato maggiore sostegno. ma già si può intuire che lo stesso si sia sviluppato anche in alcuni settori tradizionalmente democratici e persino nel voto femminile, che avrebbe dovuto trainare la vicepresidente Kamala Harris.

Donald Trump ha vinto la partita contro diversi avversari, progressisti e liberal, conservatori e moderati che gli hanno voltato le spalle, e anche contro quei suoi stessi collaboratori che per tutta la campagna elettorale gli hanno chiesto di contenersi esclusivamente sui temi programmatici del dibattito, evitando volgarità e violenze verbali. Invece Trump, anche se nei suoi comizi è stato spesso fuori dagli schemi e irriguardoso nei confronti degli avversari, ha vinto lo stesso ed è riuscito a raccogliere più voti che in passato, persino tra le minoranze etniche.

La vicepresidente Harris è stata penalizzata sicuramente dai voti espressi contro l’amministrazione di Joe Biden, e in questo malcontento abbastanza diffuso Trump ha saputo indirizzare la campagna a proprio favore, attaccando i democratici soprattutto sui temi del lavoro, dell’economia e dell’inflazione, ma anche sulla sicurezza e sull’immigrazione clandestina. I voti delle donne, sui quali Harris faceva affidamento, sono stati meno numerosi del previsto e non sono bastati a compensare i pregiudizi, evidentemente ancora insiti in buona parte dell’elettorato nei confronti di una donna, la prima esponente di colore candidata alla presidenza.

Kamala Harris è stata sostenuta solo dal 54% delle donne che hanno votato, meno del 57% raggiunto da Biden quattro anni fa, mentre Trump ha pescato a mani basse tra i maschi e soprattutto tra quelli più giovani, aiutato in questo recupero dai consigli dell’unico figlio, avuto assieme all’attuale moglie Melania, tornata al suo fianco.

Il giovanissimo Barron Trump, appena diciottenne, ha indicato al padre di farsi intervistare sui podcast più seguiti, recuperando così molti voti di giovani maschi, anche ispanici ed afroamericani. Questi podcast sono dedicati per la maggior parte alle arti marziali, alle corse delle auto ed altre attività sportive predilette dai giovani maschi, che costituiscono quello che si definisce il “bro vote”, in italiano il voto ponte. Ma il termine bro sta anche per brother, un appellativo utilizzato per indicare un amico maschio, il quale passa molto tempo online, ed è spesso interessato a sport e criptovalute. Pure le criptovalute sono state un fattore trainante per la vittoria di Trump, perché i Bitcoin hanno registrato un nuovo record, salendo a oltre 75.000 dollari, e i Dogecoin hanno visto un incremento significativo del 30% nell’ultimo mese.

Il sostegno di Musk, con la sua piattaforma social X, una squadra di collaboratori pronti a governare, composta da persone riconoscibili e forti, la promessa di fare l’America sempre più grande, sono stati altri fattori che in questa tornata hanno portato successi non solo a Trump, ma anche ai repubblicani in genere, portando alla conquista della maggioranza nelle assemblee legislative. Al Senato in particolare hanno strappando almeno due seggi ai democratici, sufficienti a ribaltare il controllo della Camera alta. Infatti il Senato alle presidenziali viene rinnovato soltanto di un terzo dei cento seggi totali, mentre la Camera è rieletta interamente ogni due anni, e la situazione adesso sorride ai repubblicani.

Bisogna ricordare come negli Stati Uniti il presidente sia eletto tramite il sistema del Collegio Elettorale, un meccanismo che attribuisce un numero specifico di voti elettorali a ciascuno stato. In totale, ci sono 538 grandi elettori e per vincere la presidenza è necessario ottenere almeno 270 voti, ovvero la maggioranza semplice del Collegio, ma in questa tornata Trump l’ha superata ampiamente. Ogni stato ha un numero di voti elettorali proporzionale alla sua popolazione e la maggior parte degli stati adotta il sistema “winner-takes-all”, che assegna tutti i voti elettorali al candidato, che ottiene la maggioranza nello stato. Solo Maine e Nebraska fanno eccezione, assegnando i voti elettorali su base distrettuale e due voti supplementari al candidato, che ottiene la maggioranza a livello statale. Poiché il peso di ogni stato nel Collegio Elettorale varia in base alla sua popolazione, California, Texas e Florida dispongono di un numero elevato di voti elettorali.

Ad esempio, la California ha 55 voti, Texas 38 e Florida 29, numeri che di solito influenzano in modo significativo il risultato complessivo delle presidenziali. Oltre a Trump e Harris si contano anche i voti dei candidati indipendenti e di altri partiti, che però come al solito non hanno ottenuto nessun grande elettore, recuperando pochissimi consensi, ciascuno del quale non arriva nemmeno a mezzo punto percentuale.

Del resto il più forte dei candidati indipendenti, Robert F. Kennedy Jr., un avvocato e scrittore, noto soprattutto per essere il terzogenito di Robert Kennedy e il nipote di John Fitzgerald Kennedy, famosissimo ex Presidente democratico degli Stati Uniti, si è ritirato il 23 agosto in alcuni stati chiave, proprio per sostenere Trump. Gli altri candidati rappresentano il Partito Libertario, il Partito Verde, il Partito della Costituzione, il Partito Proibizionista e il Partito per il Socialismo e la Liberazione, ma hanno inteso dare solo una testimonianza del loro impegno politico.

A Kamala Harris e a Joe Biden non resta nei loro discorsi successivi al responso elettorale, che rivendicare il loro impegno politico. I democratici accettano il risultato del voto, perché intendono sottolineare la differenza tra “democrazia e tirannide”, lanciando una velata frecciata all’atteggiamento assunto da Trump nella sua sconfitta del recente passato.

La dimostrazione dello stile diverso è stata la telefonata di Harris a Trump, per congratularsi per la vittoria, nella quale si è discusso dell’importanza per gli Stati Uniti di “una pacifica transizione”. Un portavoce della campagna del tycoon ha riferito che i due sfidanti si sono detti d’accordo sulla “necessità di unire il Paese, assicurando una serena coabitazione durante le guerre in corso in Europa e Medioriente, fino all’insediamento ufficiale di Trump, previsto il 20 gennaio 2025.

 

 

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