H&M, noto brand leader nell’abbigliamento, ha deciso di aiutare quanti sono in cerca di lavoro noleggiando gratuitamente l’outfit per i colloqui, salvo restituirlo in 24 ore. Il servizio è attivo nel Regno Unito dallo scorso mese e partirà a breve anche negli Stati Uniti. In Italia al momento non ci sono indicazioni. Questa storia mi ha colpito e se dovessi dirvi ora il perché, non lo saprei. Sincero.
Sarà che questa tipologia d’iniziative solitamente ha un target diverso. Sarà che così in qualche modo dichiariamo che un bel completo da sfoggiare fa parte del bagaglio di competenze acquisite. Resta però quel retrogusto amaro, dovuto al fatto che un’azienda svedese da circa 25 miliardi di dollari di fatturato annuo (dati 2019) lancia un’operazione inquadrabile nella RSI (responsabilità sociale d’impresa) che in qualche modo dimostra che siamo tutti più poveri.
Il lavoro inteso come diritto
Nel mondo globalizzato è lecito aspettarsi parole sul lavoro, inteso come diritto. Chi vuole che in Italia questo tema non finisca ai margini di un dibattito pubblico troppo spesso fumoso e fumantino, ne ha ben donde. Ma il tema del lavoro va affrontato seriamente. Non può giocarsi la sua partita con slogan politici e annessi professionisti dello slogan come quelli che negli ultimi due anni hanno condotto l’Italia verso una mega-maggioranza nonsense e l’unica forza di opposizione concentrata ad abbattere proposte di legge che garantirebbero solo maggiori diritti a minoranze (numeriche) e nulla più.
Insomma, non si può pretendere che il problema sia di Fedez. Fedez non è un’istituzione, non fa sindacato né associazione di categoria.
Era lecito aspettarsi che Fedez parlasse di lavoro e basta?
Ve lo ricordate voi, Edoardo Bennato che cantava “Sono solo canzonette”?
Fedez è uno che canta, ed è anche un imprenditore di sé stesso. Si definisce artista e, in linea di massima, lo è. Poi non è che l’arte deve essere sindacata da un convivio, eh. Lui canta, quindi è un artista. Poi sul web ha un seguito enorme, correlato anche al fatto che è il marito dell’imprenditrice digitale Chiara Ferragni, considerata un po’ la madre delle moderne influencer. Gente che, per sintetizzarla, ha un seguito talmente ampio sui canali digitali tale da rendere lo stesso seguito remunerativo (attraverso sponsorizzazioni, endorsement o, come nel caso dei Ferragnez, utilizzandolo per lanciare proprie linee di prodotti, beni e servizi). So che è complesso spiegarlo a persone come quelle che fanno i titoli per Dagospia, ma sono nuovi lavoratori. Beh, Fedez comunque è un cantante e lo hanno invitato (non ci è andato da solo, giuro) al Concertone del Primo Maggio. E niente, lui ha ritenuto che in quell’occasione si potesse parlare di diritti. Era lecito aspettarsi che parlasse di lavoro e basta? Certo, ma non è che glielo si deve imporre con una pistola piantata alla testa. Del resto anche io vorrei che Matteo Salvini rispondesse ogni tanto in merito alla domanda che si pone e lui non lo fa, ma non per questo alziamo questo polverone. Su.
“Zero zuccheri, zero pregiudizi”
Ora però vi invito a cambiare un attimo paradigma e guardare a Fedez come a un’industria di successo dagli importanti fatturati. Un po’ come la Coca Cola, che non a caso da un po’ promuove il suo brand con “zero zuccheri, zero pregiudizi” e si è schierata in prima linea per le battaglie a tutela dei diritti LGBTQ. Apple non solo ha investito 100mila dollari per sostenere i matrimoni gay in California ma con il CEO Tim Cook si è impegnata pubblicamente a favore dell’ENDA, per combattere fattivamente sui luoghi di lavoro le discriminazioni legate a orientamenti sessuali. L’elenco è lunghissimo. E no, non ci rientrano assai le aziende italiane che, al contrario, più di una volta ci hanno emozionato con fenomenali trovate di marketing come quella di Melegatti che qualche anno fa voleva vendere cornetti di discutibile fattura industriale a persone che giacevano a letto esclusivamente con l’altro sesso.
Fedez è un’azienda del gruppo Ferragnez, brand fortissimo in un mondo in cui per parlare ai tuoi follower non devi accettare compromessi con le emittenti televisive perché li puoi raggiungere comodamente su Instagram e TikTok. Fedez lo sa, tra l’altro, perché sa bene che il target di RaiTre è di interesse limitato per il suo core-business. Però Fedez, come H&M, Coca Cola, Apple e tutte le aziende strutturate, fa responsabilità sociale d’impresa.
Ed è qui che la magia ha inizio, per citare la Disney che a tal proposito pure da anni è impegnata a favore della non-discriminazione (tant’é che ha smesso di sovvenzionare i boyscout americani perché a un certo punto della storia non era più tollerabile che gli scout omosessuali non venissero ammessi).
La magia è…
La magia è quella del dito che indica la luna e noi ci soffermiamo sullo smalto per unghia appena lanciato da Fedez. Signori:
- che a voi Fedez non piaccia;
- che l’attacco era politico;
- che lo ha fatto solo perché gli conveniva;
- che non ha parlato di Amazon perché ne è testimonial (e di Amazon ne abbiamo abbondantemente parlato qui e fino a quando l’Italia non agisce non sentitevi criminali se vedete prime);
- che è tutta pubblicità;
- che era in conflitto d’interessi (con chi? e chi lo ha invitato allora?);
- che era perché ha lanciato lo smalto nuovo;
- che “non l’ho mai sentito” ma poi avete preso in croce le quattro frasi ambigue che avete letto sulla bacheca dei fan di Pillon e lo tacciate d’ipocrisia;
- che tanto non ha spostato di una virgola l’opinione delle masse;
- etc.etc.etc.
mi sento solo di rispondere un: ‘sti gran cassi.
(mi sono autocensurato)
Perché i due messaggi lampanti, che sono venuti fuori grazie all’azienda Fedez – che ha tutto il diritto di abbracciarsi le battaglie in cui crede ma che potevano venire fuori pure da mia zia in piazza con un microfono in mano se avesse un seguito simile – sono:
- è aberrante quanto accada in Italia con il dibattito sui diritti LGBTQ;
- è abbastanza vergognoso il modo Rai di gestire la cosa, di questa asservanza a cui noi contribuenti partecipiamo con il nostro canone in bolletta elettrica.
E, non ci crederete, ma sono tutte e due cose che riguardano il lavoro.
‘Na tarantella senza pari…
Il DDL Zan, che si ritiene necessario in un Paese in cui un esponente politico qualsivoglia ritiene normale sostenere che i gay possono andare ai forni crematori, è una maggiore tutela per discriminazioni già applicate per motivi di razza e religione, estendendole all’orientamento sessuale. Vi assicuro che nemmeno in Shari’a avremmo avuto un dibattito sul tema così raccapricciante, con finte prese di posizione che nascondono ideologiche intolleranze in uno Stato che, a differenza di alcuni stati islamici, si professa laico. Oh, guardate, non ci voleva nulla: si scrive la cosa, si comprende se serve o meno, se è in conflitto e toh; si votava e finiva lì. Alla meglio, c’era uno strumento di tutela in più per le persone omosessuali. Alla peggio, un’occasione mancata.
E no invece, qua lo abbiamo fatto diventare ‘na tarantella senza pari, con ostruzione e blocchi. Con una propaganda tale da far passare idee per le quali le maggiori tutele per uno diventino minori possibilità per altri.
Tutto tempo rubato al lavoro, vi assicuro. E a uno Stato che potrebbe occuparsi anche di lavoro. Ed è vero, come diceva Fedez (e anche mia zia) che nel frattempo i lavori parlamentari hanno permesso di venire a soluzione di reali urgenze come il ripristino del vitalizio di Formigoni (indovinate chi è titolare della commissione contenziosi del Senato? Se vi dico che porta un inguardabile papillon?).
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Fedez, il problema è l’ambasciatore o cosa?
Insomma, non prendeteci per i fondelli. Altro che lavoro. Resta il fatto: lo stop alle discriminazioni per l’orientamento sessuale è un punto a cui arrivare, e poco conta l’ostruzionismo sociale con che formula venga fatto passare. Questa recrudescenza di intolleranza per il vostro cattivo rapporto col letto verrà spazzata via. Come ci augureremo venisse spazzata via la politica da viale Mazzini, in un controsenso che permette a lavoratori di nomina politica di intimare a qualcuno di evitare per questioni di opportunità di fare nomi di politici durante un evento di carattere sociale. Poco conta che i nomi in questione si siano macchiati di frasi ignobili: s’essa dispiacé coccrun?
Poi della ditta Ferragnez e di Fedez pensate quel che volete, siete liberissimi di attendervi altre parole, sentirvi delusi e rivendicare quindi di non comprare i loro prodotti e non seguirli. Ma il problema in questo caso non è l’ambasciatore, ma l’ambasciata.