Il partito di Salvini è di lotta e di governo con il presidente Draghi e di guerra e pace al suo interno con cazzotti e tarallucci tra il segretario, ex ministro dell’interno, e il ministro dello sviluppo economico e vice segretario Giancarlo Giorgetti.
Il numero due della Lega contesta la linea sovranista di Salvini, indicando la necessità per la sua formazione politica di essere un partito europeista soprattutto per sfruttare gli stanziamenti europei con il Pnrr. Ma nel lungo consiglio federale della Lega il segretario ribadisce che il governo attuale di unità nazionale ha solo lo scopo di superare la pandemia perché il vero obiettivo del partito deve essere un governo liberale di centrodestra, fondato sulla libertà, la difesa della famiglia e un deciso taglio delle tasse.
Salvini dice apertamente al consiglio federale, da lui convocato d’urgenza dopo le dichiarazioni di Giorgetti, che bisogna andare presto alle urne, sfruttando magari il passaggio di Mario Draghi da palazzo Chigi al Quirinale, anche se i sondaggi da tempo indicano la consistenza elettorale della Lega sotto la percentuale di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Giorgetti sceglie i tarallucci e il vino
Alla riunione oltre a Giorgetti, partecipano pure gli altri due vicesegretari Fontana e Crippa, i capigruppo di Montecitorio e palazzo Madama, i commissari regionali e in videoconferenza i presidenti delle giunte regionali del Veneto e del Friuli, Zaia e Fedriga. Giorgetti sceglie i tarallucci e il vino e smette di litigare, offrendo una tregua, invece di continuare la guerra con il segretario, almeno fino all’assemblea federale convocata dal consiglio per l’11 e 12 dicembre.
Salvini è ancora convinto che la linea dei problemi concreti come la flat tax e i bonus per i genitori separati sia quella vincente per la Lega e che sia impensabile approdare nel partito popolare europeo, come aveva invece auspicato Giorgetti, perché in Europa il partito, a cui aderisce l’alleato forza Italia di Berlusconi, è subalterno alla sinistra.
Il segretario annuncia invece la nascita, prima della prossima assemblea federale della Lega, di un nuovo grande gruppo sovranista con l’ungherese Orban, il polacco Morawiecki e la francese Le Pen. L’attuale leader sembra convinto che anche l’assemblea federale ratificherà la sua proposta politica, ma forse la tregua è stata solo una precisa scelta strategica della componente governista. Infatti nel partito resta intatta la frattura con Giorgetti, sostenuto da gran parte del Nord, proprio in sintonia con Zaia, Fedriga e la stessa ala lombarda che rappresenta sostanzialmente la vecchia guardia della Lega, compresa la componente del fondatore Umberto Bossi.
Scazzottate e spaghetti-western
Insomma anche se nel suo intervento Giorgetti ha usato toni misurati, concedendo la tregua a Salvini, il clima nel partito non è quello dei tempi migliori. Il segretario non ha chiesto al vicesegretario di dare le dimissioni, come fece Berlusconi con Fini prima del famoso “Che fai, mi cacci ?”, ma la tensione nella Lega rimane palpabile.
L’intervento di Giorgetti, anche se edulcorato e moderato nei toni, risulta essere duro e molto aspro nei contenuti perché tende a difendere l’impegno e il lavoro dei rappresentanti del partito nelle sedi di governo, messo in discussione dalle continue puntualizzazioni del segretario, definite un segno evidente di immaturità politica. Zaia invita il partito a non fare confusione e propone una segreteria politica di poche persone, facendo capire di essere sulla linea di Giorgetti.
Il consiglio federale dura oltre quattro ore e si chiude con una serie di elogi incondizionati al leader, ma c’è poi una nota finale del ministro dello sviluppo economico alquanto sibillina perché recita testualmente : “La Lega è una, è la casa di tutti noi e Salvini ne è il segretario. Il segretario saprà fare sintesi e porterà avanti la linea del partito“. Giancarlo Giorgetti però non specifica quale sarà questa linea, facendo capire che Salvini dovrà decidersi finalmente a scegliere tra la lotta o il governo, finendola di fare a cazzotti continuamente come Bud Spencer, che negli anni settanta era campione d’incassi al cinema con i suoi spaghetti-western, per assumere un ruolo di un segretario moderato, che tenga conto di quello che sostiene la maggioranza della Lega, che Giorgetti, novello “Terence Hill” ritiene essere sulle sue posizioni.