Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quello francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkelhanno espresso, di comune accordo, un appello affinché la Russia ritiri le truppe militari ammassate nei giorni scorsi al confine con l’Ucraina. La preoccupazione per l’aumento insolito di militari e mezzi osservato nei giorni scorsi nelle aree di confine e nella penisola di Crimea, annessa nel 2014, hanno infatti portato molti analisti a ritenere che la Russia si stia preparando qualche azione (sebbene i dubbi sulla reale natura dei movimenti siano ancora molti). Il presidente ucraino Zelensky ha chiesto immediatamente la convocazione di un summit con il presidente russo Vladimir Putin e gli altri due garanti del cosiddetto Quartetto normanno (Francia e Germania) per discutere della questione. Merkel e Macron, dal canto loro, hanno ribadito con fermezza la necessità che l’Ucraina rimanga indipendente, sovrana e integra e che gli accordi di Minsk vengano rispettati da parte di Russia e Ucraina.
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L’inasprimento dei rapporti russo-americani
La tensione osservata negli ultimi giorni coincide con un inasprimento dei rapporti tra il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il presidente russo Vladimir Putin. Qualche settimana fa Biden aveva definito Putin un “killer” ed è probabile che in questi primi mesi di mandato abbia voluto rimarcare le distanze dal suo predecessore Donald Trump, il quale ha sempre vantato un ottimo rapporto con Putin. In seguito a un attacco informatico effettuato l’anno scorso contro obiettivi americani, Washington ha infatti deciso di imporre sanzioni economiche alla Russia e di espellere dieci diplomatici. Dal canto suo la Russia ha chiesto a 10 diplomatici americani di lasciare il Paese, all’ambasciatore americano a Mosca, John Sullivan, di rientrare a Washington per consultazioni “serie e dettagliate” e la cessazione dell’attività di fondazioni e ONG finanziate dagli USA, ritenute lesive degli affari interni russi. Il presidente americano, in una telefonata con Putin, ha ribadito il sostegno statunitense all’integrità dell’Ucraina e invitato la Russia ad astenersi da qualsiasi azione militare. Nonostante ciò, ha confermato la sua volontà di voler continuare un dialogo con Mosca proponendo un summit da tenersi questa estate in Europa e aggiungendo come Russia e Stati Uniti possono e devono lavorare assieme.
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La situazione ucraina e l’escalation di tensione
Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica i movimenti centrifughi delle diverse nazionalità non hanno mai smesso di generare situazioni di tensione all’interno del cosiddetto spazio ex-sovietico. In diversi paesi esistono infatti dei conflitti che sono definiti “congelati” (frozen conflict): situazioni come quella georgiana, moldava, della Transinistria e ovviamente quella ucraina. Si tratta di tensioni che possono riesplodere da un momento all’altro a causa di decisioni politiche avventate o di incidenti. Di tutti questi conflitti congelati, quelli ucraino è il più delicato per via della presenza di due regioni separatiste filorusse, le repubbliche di Doneck e Lugansk, e dell’annessione russa della strategica penisola di Crimea avvenuta nel 2014. L’ex repubblica sovietica dell’Ucraina è sempre stata percepita dalla Russia come parte della propria sfera d’influenza. Uno dei terrori più grandi per la Russia è sempre stato quello che l’Ucraina entrasse a far parte della NATO, con la conseguente presenza di una potenza “controllata” dagli Stati Uniti ai confini nazionali della Russia. Tuttavia la possibile adesione alla NATO dell’Ucraina è solo una delle parti di un problema molto più complesso. La Russia ha sempre condizionato la politica della sua vicina sin dalla dissoluzione dell’URSS considerandola come uno stato cuscinetto con l’Ue e i paesi aderenti alla NATO. I presidenti ucraini, dall’indipendenza a oggi, si sono sempre schierati o su posizioni filorusse o filoeuropee. Nell’ultimo anno si è assistito a un cambiamento degli equilibri. Il presidente ucraino Zelensky, infatti, è passato da un atteggiamento di remissione nei confronti della Russia a uno molto più risoluto. Il governo ha così sanzionato il leader del principale partito filorusso Viktor Medvedchuk, chiuso tre canali televisivi di propaganda filorussa e, soprattutto, chiesto di garantire una via preferenziale di ingesso nella Nato per il suo Paese, ricevendo il sostegno del presidente americano Biden, e invitato quello francese Macron a firmare una dichiarazione in cui si sostiene l’adesione dell’Ucraina all’Ue. Secondo alcuni analisti, queste ultime azioni potrebbero aver convinto Putin ad agire prima che lo status quo nella regione subisca modifiche. Azioni che potrebbero servire, nell’ottica russa, anche a mettere alla prova la nuova amministrazione americana per capire fino a che punto è pronta a intervenire a favore dell’Ucraina e per tentare di strappare con le minacce nuove e più favorevoli concessioni. L’ultima decisione presa da Mosca in questa escalation di tensione è arrivata nella giornata di ieri, con l’annuncio della chiusura fino ad ottobre di un’area del Mar Nero antistante la penisola di Crimea dove si svolgeranno manovre militari, rivendicando come acque territoriali le zone coinvolte nonostante la contestazione ucraina. La situazione sta tornando a surriscaldarsi nell’Europa dell’est, ponendo i diversi attori internazionali davanti a nuovi e al contempo antichi problemi che necessiteranno di una soluzione condivisa.