Una piccola città per un grande Ferrarotti


Ferrarotti, il padre della sociologia italiana, è scomparso a Roma mercoledì 13 novembre. La notizia è stata purtroppo confermata all’Adnkronos e dai suoi collaboratori e si tratta della perdita di un vero e proprio maestro della ricerca sociale, una figura scientifica di profilo internazionale, che ha avuto il merito di contribuire decisivamente all’insediamento della sociologia nelle istituzioni scientifiche italiane.

Ferrarotti nacque a Palazzolo Vercellese il 7 aprile 1926, e si laureò in filosofia all’Università di Torino nel 1949 con una tesi su “La sociologia di Thorstein Veblen”, un autore che poi tradusse per Einaudi, su invito di Cesare Pavese. Divenne professore emerito di sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma, dopo aver svolto tutta la carriera accademica, ottenendo nel 1961 la cattedra di sociologia, per aver vinto il primo concorso bandito in Italia per questa disciplina.

Nel 1962 contribuì alla creazione della Facoltà di sociologia dell’Università di Trento, dove ha poi avuto la sua seconda cattedra di sociologia. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta Ferrarotti condusse una serie di ricerche pionieristiche sul sindacalismo, sui movimenti sociali, la trasformazione del lavoro, le comunità locali e la sociologia urbana e tra queste si segnala l’opera “Piccola città”, un libro che partendo dai dati raccolti a Castellammare di Stabia analizza il meridione e l’Italia intera.

Ferrarotti si interessò soprattutto ai fondamenti di legittimazione del potere della società moderna e studiò il problema dei fini e dell’orientamento culturale di fondo di una società industriale, come quella italiana. Franco Ferrarotti è stato fondatore, assieme al filosofo Nicola Abbagnano, nel 1951 dei “Quaderni di sociologia”, di cui fu direttore fino al 1967, anno in cui dette vita alla rivista “La critica sociologica”, di cui da allora è stato sempre il direttore.

È stato tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d’Europa, responsabile della divisione dei progetti di ricerca dell’Ocse a Parigi, e fu nominato direttore di studi alla Maison des Sciences de l’Homme di Parigi nel 1978. Nel 2001 è stato insignito del Premio per la carriera, dall’Accademia nazionale dei Lincei, e nel 2005 del titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica, dall’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi.

Era Membro della New York Academy of Sciences e presidente onorario dell’Associazione Nazionale Sociologi, avendo insegnato nelle università di Chicago, Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Colonia, Tokyo e Gerusalemme. Le sue lezioni all’università romana hanno appassionato tantissimi studenti, perché i suoi interventi sui diversi temi politici e sociali del paese dagli anni sessanta fin quasi ai giorni d’oggi erano sempre interessanti e soprattutto provocatori.

Le grandi attività di ricerca e di studio di Ferrarotti sono presenti nei suoi innumerevoli scritti, che ha continuato a pubblicare fin oltre i novant’anni, quindi fino a poco tempo fa.Tra il 2019 e il 2020 l’editore Marietti ha pubblicato l’Opera omnia di Ferrarotti in sei volumi, per un totale di cinquemila pagine.

Franco Ferrarotti, la sua stretta collaborazione con Adriano Olivetti

Altro fatto fondamentale da segnalare nella sua biografia è il ruolo che Ferrarotti ricoprì dal 1948 al 1960, prima di avviare la carriera accademica, e cioè la stretta collaborazione con l’importante imprenditore Adriano Olivetti.

Ferrarotti elaborò per conto di Olivetti il progetto politico e sociale di Comunità, fino a diventare deputato nel Parlamento durante la terza legislatura, cominciata nel 1959, proprio in rappresentanza del Movimento di Comunità fondato da Olivetti, di cui prese il posto dopo le sue dimissioni dalla Camera, fino a poi confluire nel gruppo misto e poi nel PSDI.

Su questa importante collaborazione con Adriano Olivetti elaborò gli scritti “Un imprenditore di idee” e “Una testimonianza su Adriano Olivetti” pubblicato poi nel 2001 attraverso Edizioni di Comunità, mentre sull’esperienza parlamentare si cimentò nell’opera intitolata “Nelle fumose stanze.

La stagione politica di un ‘cane sciolto’”, edita da Guerini Studio, successivamente nel 2006. Tra le altre opere principali di Ferrarotti si segnalano “Sindacati e potere”, Edizioni di Comunità, 1954; “La protesta operaia” Edizioni di Comunità, 1955; “La sociologia come partecipazione” Taylor, 1961; “Max Weber e il destino della ragione” Laterza, 1965; “Trattato di sociologia” Utet, 1968; “Roma da capitale a periferia” Laterza, 1970; “La sociologia del potere” Laterza, 1972; “Vite di baraccati.

Contributo alla sociologia della marginalità” Liguori, 1974; “Studenti, scuola, sistema” Liguori, 1976; “Giovani e droga” Liguori, 1977; “Alle radici della violenza” Rizzoli, 1979; “La società come problema e come progetto” Mondadori, 1979; “Storia e storie di vita” Laterza, 1981; “Il paradosso del sacro” Laterza, 1983; “La qualità nella sociologia” Laterza, 1988.

Franco Ferrarotti ha proseguito la sua produzione saggistica anche negli anni successivi, pubblicando “L’Italia in bilico” Laterza, 1990; “Roma madre matrigna” Laterza, 1991; “I grattacieli non hanno foglie” Laterza, 1991; “Mass media e società di massa” Laterza, 1992; “La tentazione dell’oblio: razzismo, antisemitismo e neonazismo” Laterza, 1993; “Homo sentiens: giovani e musica” Liguori, 1995; “Rock, rap e l’immortalità dell’anima” Liguori, 1996; “L’Italia tra storia e memoria” Donzelli, 1997; “La verità?

È altrove” Donzelli, 1999; “Il potere” Newton Compton, 2004; “La televisione” Newton Compton, 2005; “America oggi. Capitalismo e società negli Stati Uniti” Newton Compton, 2006; “Vita e morte di una classe dirigente” Edup, 2007; “L’identità dialogica” Ets, 2007; “Fondi di bottiglia” Solfanelli, 2008; “Il senso del luogo” Armando, 2009.

Successivamente nel 2010 Ferrarotti è tornato a riflettere sul ruolo della sociologia nell’opera intitolata “Perché la sociologia?”, edita da Mondadori Education con la pubblicazione dell”intervista di Umberto Melotti e Luigi Solivetti, mentre nel 2012 ha prodotto il testo autobiografico “Atman.

Il respiro del bosco” , edizione Empiria e il saggio “Un popolo di frenetici informatissimi idioti” edito da Solfanelli. Il suo volume più recente è “Dalla società irretita al nuovo umanesimo” edito da Armando nel 2020.

Nel corso della sua lunga attività di ricerca Franco Ferrarotti ha analizzato il tipo e la qualità di razionalità, che regge le società tecnicamente orientate e post-tradizionali, ponendosi il problema dei limiti della razionalità formale, puramente tecnica, e quello del passaggio dalla razionalità tecnico-formale alla razionalità sostanziale.

In questa prospettiva ha ripreso criticamente la lezione del marxismo, depurata dai meccanicismi ma anche dalle “impazienze dialettiche”, analizzando contemporaneamente il problema dei fini e dell’orientamento culturale di fondo della società industriale. Ferrarotti si è pure interessato all’analisi e alla comprensione della polarità razionale-irrazionale, cercando per sua stessa ammissione di andare oltre, non solo ogni catastrofismo romantico, ma anche ogni facile fede illuministica.

Il sindaco di Castellammare Luigi Vicinanza ha voluto ricordare Franco Ferrarotti, nella sua duplice veste di giornalista e rappresentante di quel territorio che il professore ha voluto analizzare nella sua opera “Piccola Città”. Vicinanza scrive testualmente sui social: “Castellammare e l’Italia perdono uno degli interpreti più profondi e autentici del nostro tempo.

Ferrarotti, fondatore della sociologia italiana, ha saputo vedere in Castellammare non solo una “Piccola Città,” ma un simbolo di quell’Italia che vive di storie, di comunità, di valori radicati. Con il suo spirito curioso e la sua capacità di leggere il territorio e la gente, ci ha mostrato Castellammare come un microcosmo attraverso cui comprendere l’evoluzione della società.

L’Italia perde non solo uno studioso straordinario, ma anche un narratore appassionato delle sue storie e delle sue tradizioni. Come Città e come amministrazione comunale ci impegneremo a mantenere vivo il suo ricordo e a valorizzare le sue opere, affinché il pensiero e l’insegnamento di Ferrarotti continuino a essere una guida per il nostro territorio e le generazioni future”.

Ferrarotti peraltro appena pochi anni fa, durante la grave emergenza sanitaria da COVID-19 aveva ribadito come il nostro Paese sappia dare il meglio di sé nell’emergenza, perché la resilienza è una caratteristica italiana consolidata.

Ferrarotti però aveva anche affermato che, per giungere alla rinascita della nostra penisola, debbano essere ristabilite innanzitutto le relazioni personali, ritornando a praticare un’autentica socialità. Secondo Ferrarotti il digitale, da solo, non può bastare, perché la tecnica è uno strumento, ma non può mai essere un fine.

Franco Ferrarotti era convinto che un periodo terribile e di grande sofferenza per molti, come quello della pandemia da COVID-19, possa rappresentare anche una straordinaria occasione di ripensamento per l’Italia e tutto il mondo. Il futuro, secondo Ferrarotti, bisogna avere il coraggio di rifondarlo su categorie nuove, e proprio su questo tema avrebbe dovuto tenere una delle lezioni organizzate in occasione del bicentenario di Marietti 1820, la casa editrice che ha portato a termine il progetto della pubblicazione delle sue Opere complete in sei volumi.

La disponibilità delle opere del professore in e-book per far fronte alla chiusura delle librerie, durante la pandemia, conferma la tesi di una tecnologia, che mette a disposizione risorse formidabili per fare fronte alle sfide dei tempi attuali. Secondo Ferrarotti, però non bisogna cedere all’illusione che il futuro stia nella tecnologia, perché il futuro ha un cuore antico.

Per capire questa che, sembra solo una frase fatta, bisogna tornare a leggere le pagine di Hegel, dedicate alla dialettica tra servo e padrone nella sua famosa opera Fenomenologia dello spirito. Fare troppo affidamento sulle macchine costringe gli uomini a diventare dipendenti da esse, senza considerare come le macchine non abbiano volontà, non esprimendo un progetto, e non facendo altro che replicare sé stesse all’infinito.

Insomma secondo Ferrarotti le macchine sono solo mezzi e strumenti, che non possono diventare uno scopo, ma il punto non è la rassegnazione a un futuro senza tecnologia. Il coronavirus ha attuato la vera globalizzazione, perché ha distrutto le false certezze, come quella della tecnologia o per meglio dire del delirio di onnipotenza tecnica, che portava a immaginare il mondo del futuro affidato completamente ai robot, all’intelligenza artificiale e ai meccanismi della crescita economica, sganciata dalla creazione di posti di lavoro.

Nel pensiero di Ferrarotti il “diritto all’ozio”, teorizzato da Paul Lafargue alla fine dell’Ottocento, non può rappresentare la società del futuro, perché i limiti della tecnica rappresentano gli stessi limiti, che appartengono agli uomini. Quindi la tecnica, essendo una perfezione priva di scopo, è interessata unicamente all’esattezza interna delle proprie operazioni e può espandersi a dismisura, ma per Ferrarotti si tratta solo di un’espansione caotica, che non comporta alcun progresso per gli uomini.

Per arrivare al progresso, infatti occorre l’iniziativa umana, che può essere efficace solamente nel caso l’essere umano stesso riconosca a sua volta i propri limiti. Ferrarotti contrappone al “pastore dell’Essere” cantato da Heidegger la fragilità degli uomini che durante le emergenze sanitarie e le calamità naturali si sentono addirittura in pericolo.

Il futuro per Ferrarotti va ricostruito esclusivamente “a misura d’uomo”, adoperando un’espressione cara ad Adriano Olivetti, perché la sua lezione alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso , sembra più che mai attuale. Olivetti fu un imprenditore di genio, per il quale il profitto non si può concepire esclusivamente in termini contabili, ma anche all’interno di una visione più ampia, che nel suo caso coincideva col famoso “ordine politico delle comunità”.

Secondo Ferrarotti purtroppo, è proprio il senso della comunità che manca ai nostri tempi, ma fino alla fine dei suoi, avvenuti alle soglie dei novantanove anni, non è mai venuta meno le la fiducia nelle capacità degli uomini di migliorare la socialità, a prescindere dall’uso delle tecnologie.  

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