Vigilanza RAI, Fuori i secondi, ma non troppo

Il movimento 5 stelle chiede da tempo la presidenza della commissione di Vigilanza sulla Rai, ma i nomi proposti di Stefano Patuanelli e Riccardo Ricciardi, le forze politiche di maggioranza finora li hanno ritenuti troppo divisivi.  Il profilo della capo gruppo dei grillini al Senato, Barbara Floridia, è invece accettabile per il ruolo istituzionale e la personalità dell’ex sottosegretaria all’istruzione, ma la trattativa non si è ancora chiusa, perché il terzo polo di Calenda e Renzi insiste per la candidatura dell’ex ministro Maria Elena Boschi.
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La presidenza della Vigilanza per prassi istituzionale spetta all’opposizione e il PD ha già ottenuto la guida del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, con l’ex ministro della difesa, Lorenzo Guerini, per cui non pone problemi, al contrario di Italia viva ed azione, che ad ottobre dovrebbero confluire in un unico partito.
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Sul nome della senatrice del movimento non si registrano le chiusure e i veti delle candidature di Patuanelli e Ricciardi, ma non c’è stata ancora l’elezione. Il segretario della Lega Salvini invece, nelle trattative con gli alleati della maggioranza di governo, chiede almeno un amministratore delegato nelle grandi partecipate di Stato. Ma l’unica concessione di Giorgia Meloni sarebbe quella di affidare alla Lega l’indicazione del Ceo di Terna, ma è davvero troppo poco per il partito del vicepremier e segretario Matteo Salvini.
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Eppure sono passate solo due settimane dal cinquantesimo compleanno del leader leghista, festeggiato dopo il consiglio dei ministri celebrato a Cutro per la tragedia dei migranti dispersi in mare, e la foto che lo ritraeva intento a cantare con Giorgia Meloni, sembrava celebrare la sintonia tra fratelli d’Italia e la lega. La foto è stata la maniera per ribadire la compattezza della maggioranza perché alla festa era presente anche Silvio Berlusconi, leader di forza Italia, che rimane un partito importante nella coalizione di governo. Gli accadimenti degli ultimi giorni, prima al Senato e poi alla Camera, hanno però reso molto fioca l’immagine di Berlusconi, Salvini e Meloni intenti a cantare e a festeggiare insieme.
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L’assenza dei ministri della Lega, durante le dichiarazioni della premier in vista dell’appuntamento con il consiglio europeo, non è stata certamente una casualità. È stata palese l’insofferenza di Salvini nella mancata presenza al Senato dei leghisti dai banchi del governo, ed è stata fatta notare fragorosamente sui principali mass media. La scelta di non porvi rimedio il giorno dopo alla Camera suona dunque come una conferma del malumore di Salvini, anche se il segretario della Lega si è tenuto lontano dal parlamento ufficialmente per impegni legati al suo dicastero.
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Sono pochissimi a credere, però che non poteva far slittare o anticipare una riunione sulla sicurezza stradale al ministero e solo il tweet di Carlo Calenda “governo già in crisi, Lega come M5S su Ucraina” è servito per far arrivare in aula prima Giuseppe Valditara e poi Roberto Calderoli e Alessandra Locatelli. In effetti, nella due giorni parlamentare, gli interventi dei leghisti non sono stati assolutamente in sintonia con le affermazioni fatte in aula dalla presidente del consiglio. Il fatto che la lega abbia votato la risoluzione di maggioranza compattamente, sia a Palazzo Madama che a Montecitorio, non può cancellare i problemi, perché pesano le parole usate della “dolce tirannia per chi si discosta dal pensiero unico dettato dalla premier per il sostegno all’Ucraina”.
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Queste parole suonano non solo come una presa di distanza dalla Meloni, ma anche come una vera e propria manifestazione di dissenso. Appare del tutto evidente che il nervosismo della lega sia legato alle imminenti nomine delle partecipate di Stato, perché Salvini chiede appunto almeno un amministratore delegato. Ma visto che sull’Eni la conferma di Claudio Descalzi per Meloni non è in discussione, il segretario della Lega ha virato l’attenzione su Enel.
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Per Meloni però le porte sono sbarrate anche in questo caso, perché la premier al massimo concederebbe la presidenza a un nome scelto da Berlusconi, che sta sponsorizzando Paolo Scaroni, ma la candidatura che resta più gettonata è quella dell’attuale Ad di Terna Stefano Donnarumma. L’unica concessione alla Lega da parte di Giorgia Meloni sarebbe proprio quella di affidare al partito di Salvini l’indicazione del Ceo di Terna. Sarebbe pochissimo per i leghisti, che stanno mettendo sotto pressione pure Giancarlo Giorgetti, il loro ministro all’economia.
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Salvini avrebbe espresso la sua richiesta nelle riunioni di maggioranza dei giorni scorsi, e pure la sua contrarietà alla conferma dei vertici delle partecipate dei manager nominati dai precedenti esecutivi, Conte e Draghi. Meloni non sembra condividere questo approccio demolitivo e nei prossimi giorni si capirà meglio se i segnali di insofferenza della lega porteranno addirittura ad una vera e propria crisi.

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