A trecentosessanta gradi. A tu per tu con il tecnico solarinese Franco Merenda. Una storia tutta da raccontare, tra i campi del nord e quelli del sud. Il prossimo obiettivo? La quarantesima candelina in panchina!
-Mister, cominciamo con la domanda che faccio sempre ai miei intervistati. Chi è Franco Merenda fuori dal campo? Un buon padre di famiglia, un buon nonno, un buon amico ed un uomo rispettoso nei confronti di tutti perché il rispetto non ha età.
-Quattro aggettivi, i suoi pregi e i suoi difetti? Educato, rispettoso, altruista e disponibile. Non tollero l’egoismo.
-Che rapporto aveva con la scuola? Quale materia preferiva e quale odiava? Diciamo che avevo un buon rapporto anche se parliamo del 1950/60. Mi piaceva la matematica, meno la storia.
-Il giovane di ieri e il giovane di oggi. Cosa è cambiato secondo lei nel sistema educativo? A mio parere è cambiato tutto, ai miei tempi ci accontentavamo di tutto e gli svaghi non erano come quelli di oggi. C’era più umiltà, c’era maggiore rispetto, punti che oggi mancano, per mia esperienza. I genitori sono troppo permissivi nell’accontentare i giovani di oggi ma ciò non vuole essere naturalmente una polemica.
-Nelle sue mani sono passate diverse generazioni, le chiedo quali cambiamenti ha riscontrato in generale e se è sempre riuscito ad adattarsi. Si, in effetti parecchie generazioni, dai giovani degli anni ottanta sono passato ai 2010. Sono sempre riuscito ad adattarmi. In particolare alle porte del duemila con l’avanzata della tecnologia ho notato siano venuti a mancare molti valori della vita che per fortuna spero sia riuscito ad inculcare ai miei ragazzi tramite lo sport.
-Quando si è avvicinato al calcio per la prima volta? Avevo sedici anni e con la mia famiglia abitavamo già a Torino.
-Una volta si giocava nelle strade oggi ci son le scuole calcio. Si tratta di una risorsa? Indubbiamente, non a livello economico ma di organico.
-Quanti in una società è importante il concetto di programmazione? Senza programmazione non si possono raggiungere obiettivi di rilievo.
-Che visone ha del calcio? Credo semplicemente che il calcio sia uno sport meraviglioso.
-Ma torniamo al passato. Il suo trasferimento al Nord nella giovinezza. Quanto è stato difficile ambientarsi?Francamente non è stato difficile, ho trovato persone, compagni, allenatori, dirigenti che mi hanno sempre accolto come un figlio. La prima società si chiamava Atletico Torino ma ci son stato poco.
-Nel suo curriculum un anno con il settore giovanile del Milan. Che ricordi ha di tale esperienza? Dei ricordi bellissimi, abitando a Torino ho dovuto affrontare parecchi sacrifici, nonostante i miei 17 anni. Un’esperienza memorabile che mi ha permesso di acquistare rispetto, disciplina e umiltà.
Franco Merenda da calciatore, quali i successi e quali le delusioni? Tanti successi, vari campionati vinti tra Juniores, Seconda Categoria, Prima Categoria, Promozione ed anche parecchi tornei estivi locali di una volta. Tra le delusioni, in particolare, un brutto infortunio nel marzo del 1977 che non mi permise di approdare in Serie D.
-Cosa consiglia ad un giovane proiettato nel mondo “dei grandi”? Prima di tutto di avere tanta voglia, tanta umiltà e tanto spirito di sacrificio, che oggi mancano a tanti ragazzi nonostante le spiccate qualità.
-Lei tiene tantissimo all’alimentazione. Quanto per un atleta è importante mangiare sano? Ho frequentato parecchi corsi sulla corretta alimentazione del giovane calciatore, ci tengo molto, ma credo che non ci sia abbastanza cultura in generale.
-Immagini tra pochi minuti di aver la possibilità di fare un salto nel suo passato in campo. Quale momento vorrebbe rivivere? Ed in panchina? I ricordi sono tantissimi. Diversi anni fa mi affidarono i Giovanissimi Regionali della Don Bosco Nichelino che avevano concluso il campionato da terzultimi. Il 5 maggio, giorno della prima seduta, mi trovai in mano una squadra giù di morale ma in poco tempo notai subito i problemi dei ragazzi. In due mesi riuscimmo a vincere due tornei e per due anni consecutivi, prima il campionato Allievi Fascia B e successivamente quello regionale Fascia A. Mi piacerebbe rivivere quei momenti in panchina!
-Nel 1986 comincia il suo percorso da allenatore, con l’Armando Picchi. Cosa ci racconta di quella esperienza e cosa l’ha spinta ad intraprendere la sua carriera? Esattamente. Ho iniziato con i Giovanissimi Provinciali, ho proseguito con gli Allievi (vincendo il campionato), passando poi alla Primavera e all’Under 18. Queste esperienze sono state il trampolino di lancio come allenatore. Dentro me sentivo vocazione e grande passione.
-In panchina, quali i suoi successi e quali le sue delusioni? Ho elencato già diversi successi, molti in 35 anni. Tuttavia qualche delusione l’ho vissuta, ad esempio retrocedendo con gli Allievi Regionali ed i Giovanissimi Regionali.
-Nel 1999 diventa responsabile del settore giovanile nel Moncalieri Calcio. Cosa le ha lasciato questa esperienza?Esperienza lieta e bellissima. Vedere crescere calcisticamente dei bambini, lanciandoli poi a livello professionistico è veramente unico e soddisfacente.
-Per qualche giornata ha guidato anche la prima squadra nel campionato di Serie C2? Quali emozioni ha provato nel varcare i campi del professionismo? Incredibile atmosfera, diciamo che mi venne quasi un infarto! (sorridendo)
-Ci sono dei giovani che ha allenato che sono riusciti a fare un importante percorso? Si, nel 2004 cedemmo ad esempio ben sei ragazzi al Torino. Molti giocano tra Serie C e Serie D ma ne ho perso le tracce.
-C’è stato un momento della sua vita calcistica in cui avrebbe voluto mollare? Si, nel 2011 lasciai il Moncalieri prendendo un anno sabbatico, poi ho subito ripreso.
-Allenare nelle giovani o allenare una prima squadra. Cosa pensa sia più complicato? Bisogna distinguere: se parliamo di settore giovanile bisogna essere bravi, molti credono di essere già giocatori (non tutti per fortuna) senza sapere di non essere ancora né carne né pesce, per le prime squadre bisogna avere carisma. Se parliamo di scuola calcio, fino agli Esordienti, la prospettiva cambia. È bello lavorare con i bambini, vederli crescere, formarli ed indirizzarli per il salto di qualità. Personalmente sono molto orgoglioso del mio lavoro.
-Nel corso degli anni si è distinto molto anche per le tante vittorie nell’ambito della coppa disciplina. Cosa dice ai suoi ragazzi? Rispetto, disciplina ed educazione anche se in molti pensano solo al risultato, da raggiungere ad ogni costo. Io resto della mia idea.
-Nel 2014 il suo ritorno in Sicilia. Corteggiato da numerose società sceglie di abbracciare il progetto dell’allora Flora Calcio. Cosa le ha lasciato questa esperienza? Esperienza indelebile, nonostante le divergenze avute successivamente. In quattro anni, tra Flora e Mediterranea, sono stato accolto a braccia aperte. In me rimarranno bellissimi ricordi. Resta comunque un po’ di amaro in bocca ma fa parte del gioco.
-Quali differenze ha riscontrato tra il calcio del Nord ed il calcio del Sud? Credo che al Sud manchi un po’ di cultura calcistica, ci sono molti talenti ma non hanno spirito di sacrificio. Ho conosciuto molti ragazzi siciliani sia nel Torino che nella Juventus ma poi sono sempre tornati indietro soprattutto a causa delle regole rigide imposte loro.
-Dopo l’esperienza alla Mediterranea il passaggio al Pianeta Calcio. Ci vuole dire qualcosa a riguardo? Oggi fa parte del progetto Rari Nantes. È soddisfatto? Francamente non so ancora oggi i veri motivi di quella “rottura”, forse incompatibilità? Diciamo così. Per quanto riguarda il mio presente alla Rari Nantes sono molto soddisfatto.
-Cosa pensa abbia imparato in quasi quarant’anni di carriera? Ho imparato tante cose positive, le cose belle un po’ le dimentico, quelle negative no. C’è un famoso detto che voglio ricordare:” Fai del bene e dimenticalo, fai del male e pensaci”.
-Pensa di voler allenare ancora per tanti anni? Non saprei, non ho ancora programmato. Fino a quando la salute mi permetterà di fare calcio continuerò.
-Quale potrebbe essere la ciliegina sulla torta? Mi piacerebbe vedere uno dei miei allievi, un giorno, varcare i campi della Serie A. (sorridendo) Non è facile ma mai dire mai.
-Grazie per l’intervista mister. Grazie a te!
KEVIN GILIBERTO