Giampaolo Ciarcià – Floridia. A trecentosessanta, il racconto bello ed emozionante di un uomo che con sacrificio e dedizione è riuscito a realizzare i propri sogni. Tra, presente, passato e futuro Kevin Giliberto ha intervistato l’ex giocatore professionista Giampaolo Ciarcià.
- Mister, intanto ti chiedo, chi è Giampaolo Ciarcià fuori dal campo?
Sono un marito e un papà molto premuroso per la famiglia, grazie ai valori che mi hanno insegnato i miei genitori in primis, ed anche le esperienze fatte nella vita. Una persona molto semplice.
- Quattro aggettivi, i tuoi pregi ed i tuoi difetti?
Sono molto paziente, ma nello stesso tempo quando perdo la pazienza mi arrabbio, sono sensibile, molto umile e riflessivo. Sono anche maniacale al punto giusto, anche se nel mondo di oggi può essere un difetto. Alle mancanze di rispetto mi trasformo negativamente, sempre nei limiti.
- Che rapporto avevi con la scuola? Qual era la tua materia preferita e quale odiavi di più?
Non mi piaceva tanto. La mia materia preferita era la matematica, me la cavavo benissimo mentre non mi piaceva l’educazione artistica.
- Quando ti sei avvicinato al calcio?
Ho iniziato per strada facendo litigare, non poco, mio padre con i vicini. Altri tempi. In un campo sono entrato per la prima volta con il grande Prof. Paolo Quattropani. Ho iniziato nella Floridiana (squadra del mio paese), per poi passare all’Atletico Catania (serie C) e dopo aver fatto due anni con la Primavera (allenatore Gaetano Auteri) fui preso dall’Igea Virtus in serie D, stagione 98-99 sempre con mister Auteri e con giocatori di calibro come Riganó, Baratto, Tebi, Millesi, ed altri.
Solo che a fine ritiro abbandonai perché ero fidanzato, errore che mi è costato caro anche se ho fatto una carriera importante e piena di soddisfazioni. Andai a lavorare ai mercati per 3 anni, giocavo con il Canicattini e poi durante un’estate lontana mister Galfano, che mi aveva notato, mi portò con lui a Comiso. Decisi di riprovarci con il calcio anche se avevo tanti dubbi a lasciare il lavoro.
- L’esordio in prima squadra a che età è avvenuto e che sensazioni hai provato?
Ho esordito nella Floridiana, all’ora guidata da Maiori in Promozione, all’età di 15 anni (anno 94-95). Prima della partita, mi chiamò il mister dicendomi che sarei partito titolare. Ci giocavamo la salvezza, mancavano tre partite alla fine, vincemmo 2-0 e potemmo festeggiare al “Santuzzo” il mantenimento della categoria.
Che dire, provai le sensazioni di un quindicenne, ero pieno di tensione, avevo paura di sbagliare e di non essere di aiuto essendo troppo piccolo. Alla fine grazie ai compagni uscì fuori una grande partita. La mia prestazione fu positiva e da li le ultime rimanenti le feci tutte da titolare.
- Tu sei stato uno dei pochi siracusani a sfociare nel professionismo, cosa pensi ti abbia contraddistinto?
Mi ha contraddistinto la voglia di crederci sempre, nelle difficoltà (la ritengo una dote) mi esalto e non mi abbatto mai. Nel calcio che conta , dove sono stato, non è solo arrivare ma bisogna essere in gamba, saperci rimanere, perché altrimenti ti fanno tornare indietro immediatamente. Quindi bisogna avere doppia bravura e ti assicuro che non è semplice come sembra dall’esterno.
- Il giovane di ieri e il giovane di oggi, cosa pensi sia cambiato?
Faccio un esempio pratico che possa racchiudere la mia risposta: il giovane di prima, almeno io, quando pioveva andava a scuola con l’ombrello, il giovane di oggi invece nella stessa situazione viene accompagnato dalla mamma per evitare che si possa bagnare.
- Anno 2002: ti trasferisci alla Vibonese in Serie D, con Angelo Galfano. Li comincia la tua storia da calciatore. Quali sono state le prime emozioni? C’erano altro società a volerti fortemente?
Avendomi avuto già a Comiso, Galfano (per me un papà calcistico) mi portò con se a Vibo. Li continuava la mia corsa per poter realizzare quel sogno che avevo fatto svanire nel 1998, quando scappai dal ritiro dell’Igea. Erano emozioni forti e avevo la sensazione di essere nella strada giusta e con la persona giusta per poter riprovarci senza vivere un giorno con tanti rimpianti. Mi volevano altre società ma non avrei mai rifiutato una richiesta del mister, persona piena che rispettavo e stimavo tantissimo. Nella vita a volte bisogna scegliere per valori umani e non economici.
- Ti faccio una domanda ambigua mister, pensi che qualche altre tuo compaesano avrebbe potuto seguire il tuo stesso percorso?
A Floridia ne conoscevo tanti che sapevano giocare molto bene. Quindi si, facendo però i giusti sacrifici.
- Nel 2004 la tua prima promozione in B con il Crotone, che ricordi hai di quella annata e quanto ti ha segnato?
Fu un’annata incredibile, dopo i primi tre mesi (facevo sempre la tribuna) chiunque avrebbe mollato, soprattutto essendo al primo anno da professionista. Invece appena mi diedero la prima chance da titolare riuscì a sfruttarla ed ottenere un posto da titolare fino a fine campionato. Quello è stato un momento dove posso dire di essere stato bravo. In quel calcio per starci dovevo limare dei difetti calcistici, così mi diceva Mister Gasperini. Io incredulo all’inizio non accettavo, ma non mollando mai e non lasciando niente al caso fui ripagato, essendo riconfermato da lui per tre stagioni di fila stupende (una in C e due in B).
- Quel’anno ti allenava un certo Gian Piero Gasperini, alla sua prima esperienza, proveniente dalle giovanili della Juventus. Cosa ci dici a proposito di lui, cosa ti ha lasciato e avresti mai pensato che avrebbe avuto una carriera in Serie A?
Notai subito che il mister aveva qualità calcistiche pazzesche, proponendo un calcio moderno. Con lui sono cresciuto tantissimo. Ci insegnava tanti “trucchetti” ed era un predestinato. Ricordo che portò metodi di allenamenti nuovi, all’inizio si scontrava con i giocatori più grandi ma alla fine vinse lui con le sue metodologie. Oggi noto, guardando le sue squadre giocare, che il metodo di gioco è uguale a quando allenava me. L’unica differenza che ho riscontrato è che a volte inserisce un centrocampista in più e toglie una punta ma il modo di imporre calcio non è cambiato.
- Quali sostanziali differenze hai notato tra il dilettantismo ed il professionismo?
Delicato da spiegare e da far capire, io avendo fatto entrambi, dico che c’è molta differenza.
- Il salto in Serie B, stavi vivendo un sogno? Cosa si prova ad essere ad un passo dalla Serie A e quale atmosfera si vive?
La B l’ho fatta per 3 anni. Vivi un sogno, purtroppo non sono riuscito ad andare in Seria A, ma sono stra-felice lo stesso di aver fatto le altre categorie. Atmosfere pazzesche, le settimane le vivi veramente in modo intenso. Ed ecco che inizia la nostalgia…
- Hai qualche retroscena da svelare, riguardante la tua carriera?
Come ti ho già detto, il retroscena più rilevante è la mia fuga dal ritiro. Ero scappato dal calcio ma poi con forza e sudore me lo sono andato a prendere.
- Dopo le esperienze di La Spezia e Terni approdi a Salerno. Il calore della Campania ti ha fatto sentire a casa?
Ricevere amore da una tifoseria come quella di Salerno è stato molto emozionate. Posso dirti che ovunque sia andato sono sempre stato amato e voluto bene.
- Quella promozione in B con i “granata” e le due stagioni in cui segnasti quattro goal (Tra C e B). Cosa vuoi raccontarci a tal proposito? Quella promozione fu importante, la Salernitana, correggimi se sbaglio, veniva da un fallimento e da una stagione in Terza Categoria.
No, no, non veniva da una Terza Categoria. L’anno precedente io a Terni ero stato avversario dei granata in Serie C. La promozione fu stupenda. In estate fui riscattato alle buste dalla Salernitana (nei confronti del Crotone) e feci anche la Serie B con i granata. Annata strepitosa, ho dei ricordi super ancora oggi.
- Entriamo in una domanda un po’ più tecnica. Parliamo di metodologie, ci sono sostanziali differenze tra i metodi di preparazione ad un campionato di C ed uno di B a tuo parere? E a livello psicologico?
Posso dirti che salendo di categoria aumenta la qualità, che possa essere fisica,tecnica o riferirsi ad altre componenti.
- Benevento, Virtus Entella e Paganese. Cosa ricordi di queste annate?
A Benevento esperienza intensa, ho vissuto due anni importanti ma purtroppo l’unico neo fu la finale play-off persa in casa con il doppio risultato e 25mila spettatori sugli spalti. Città bellissima e gente meravigliosa. Con la a Virtus Entella, società modello, ho vissuto due anni molto belli, compreso un ripescaggio in serie C1, dopo aver perso la finale Play-off. Città che vive il calcio in modo diverso da tante altre. A Pagani ho ritrovato tanti ex compagni di Salerno. Purtroppo a tre giornate dalla fine, per un rigore sbagliato, perdemmo la quinta posizione per poter andare oltre la regular season. Comunque fu un’annata ricca di soddisfazioni.
- Il calcio ti ha lasciato amicizie che porterai per la vita?
Certamente, ancora oggi sento tanti ex compagni con cui parlo delle varie esperienze. Ricordare è sempre meraviglioso.
- L’esperienza di Taranto?
Taranto è stata una delle esperienze più significative della mia vita. Li è nato mio figlio Federico ed ho conosciuto mia moglie, oltre alle soddisfazioni calcistiche che ho vissuto.
- Nel 2017 decidi di tornare in Sicilia, a Paternò. Ma te la sentiresti di giocare ancora?
Inizialmente decisi di smettere e tornare a Floridia, dopo 17 anni in giro. Un anno dopo mi sarei dovuto sposare e mio figlio avrebbe iniziato il primo anno di asilo. Poi fui coinvolto dal progetto Paternò ed accettai. L’anno dopo però mi sono fermato del tutto. Ancora oggi mi piacerebbe giocare, fino a questo inverno qualche società di Eccellenza ha provato a convincermi per rientrare ma non ho accettato.
- Cosa deve avere un giovane, secondo te, per sfociare nel professionismo?
Alla base qualità senza dubbio, a cui associare sacrificio, umiltà, carattere, rinunce, tanto sudore e anche fortuna di saper sfruttare, quando capita, l’occasione giusta.
- Cosa ne pensi della tua città e calcisticamente come la vedi rispetto al passato?
Molto indietro rispetto agli anni novanta, sotto ogni punto di vista.
- Torniamo ancora indietro, nella tua vita da calciatore, qual è stato il goal più importante della tua carriera, quali nel complesso i tuoi successi e quali i tuoi rimpianti?
Il più bello è stato anche il più significativo (Taranto-Puteolana 3-0), goal di sinistro al volo da 35 metri sotto l’incrocio. Il più significativo perché quella domenica è stato il primo giorno, dopo i tre mesi di gravidanza di mia moglie, quindi misi il pallone sotto la maglia e dissi al mondo che sarei diventato papà. Emozionatissimo.
- Se avessi la possibilità di rivivere un momento quali riviveresti? E se potessi cambiare qualcosa?
I successi sono stati tanti, tra cui tre promozioni in B, ma oltre ai risultati in campo il successo più grande è stato sentirmi gratificato da tutte le società citate. Sono felice di aver avuto l’onore di poter indossare le varie maglie. Se c’è un momento che vorrei rivivere è proprio quello del goal in Taranto-Puteolana.
Rimpianti? L’unico è quello di di aver perso quattro anni per aver abbandonato. Chissà se avessi avuto la possibilità di raggiungere la Serie A…!
- C’è stato un momento in cui avresti voluto mollare?
Al primo anno tra i professionisti, dopo aver fatto i primi 3 mesi in tribuna. La la mia determinazione alla fine è stata premiata.
- L’ultima gara prima del ritiro, cosa hai provato?
Non decisi durante l’ultima settimana di allenamento di smettere quindi non sapevo che l’ultima gara sarebbe stata effettivamente l’ultima della mia carriera.
- Cosa ti ha spinto ad intraprendere la carriera da istruttore?
Poter lavorare con i bambini era un’idea ma anche un sogno che mi sono sempre portato dietro durante i miei anni calcistici.
- Adesso hai creato un’Academy tua, il Pianeta Calcio, insieme ad Emilio Buccheri. Quali sono i tuoi obiettivi?
Difficile darti obiettivi , vivi alla giornata, la mentalità non mi fa impazzire per tanti punti di vista. Noi come scuola calcio siamo riusciti ad iscriverci, per il secondo anno, con tante difficoltà ma anche con tante soddisfazioni.
- Che visione hai del calcio moderno? E del mondo scuola calcio?
Il calcio moderno non mi piace, c’è poca meritocrazia. Il mondo scuola calcio si potrebbe divertire di più e far gioire di più i bimbi, ha tanti limiti in generale. Se sei una realtà con 300 iscritti ,un presidente può fare il presidente stando dietro a tante dinamiche che accadono, sia belle che non belle. In caso contrario diventa più difficile. Spesso accadono aneddoti che poi diventa difficile risolvere, quindi ti godi le cose belle che accadono ma le cose che non fanno crescere non le puoi curare per bene come giusto che sia.
- Cosa mi dici del futuro mister?
Il lavoro che svolgo oggi non mi permette di programmare il futuro, vedremo.
- Quali tecnici hanno segnato e segneranno, in particolare, il tuo essere allenatore? Vuoi raccontarci qualche retroscena?
Per la maggior parte della mia carriera già in campo avevo la dote di dare aiuto tatticamente ai compagni , la mia fortuna è stata avere allenatori del calibro di Galfano, Auteri, Gasperini, Soda, Agostinelli, Brini, Castori, Grassadonia, Cazzaró, Calabro, Longo, Favo, Pidatella, Maiori, Marino, La Rosa, Acori e tanti altri. Ho citato tecnici che ho avuto nel modo dilettantistico perché anche loro mi hanno fatto crescere.
- Chiudo sempre con una domanda personale. Il valore della famiglia nella vita di ogni allenatore. La tua quanto per te è importante?
La famiglia ha un valore che niente può superare. Per me è tutto.
- Dove vuoi arrivare e dove ti vedi tra dieci anni?
Vivo alla giornata, tra 10 anni spero di vivere sempre abbracciato alla mia famiglia.
- Grazie per l’intervista mister. Vuoi aggiungere qualcosa o mandare un messaggio?
Certo, ringrazio tutte le società dove ho giocato e ringrazio te per l’intervista. Il mio messaggio visto il momento è quello di stare a casa per un futuro migliore, per noi stessi ed i nostri cari.
Intervista di Kevin Giliberto