L’angolo interviste di Magazine Pragma oggi si arricchisce della presenza di Daniele Pagani. Con un sogno da calciatore lasciato nel cassetto per problemi fisici, El Flaco si è dato allo storytelling, diventando negli anni un affidabile esperto di talenti sudamericani. E quindi, quali saranno i prossimi craques calcistici d’oltreoceano? Chi trionferà nella doppia finale di Copa Libertadores? E l’impatto di Lautaro Martínez al primo anno in Serie A? Questi e numerosi altri gli interrogativi di fronte a cui lo ha posto il nostro collaboratore Nicola Chiacchio. Intanto, vi invitiamo a seguire Daniele Pagani sul suo profilo Instagram.
Daniele Pagani, il rapporto col mondo del giornalismo ed il suo primo libro
Eccoci quindi in compagnia di Daniele Pagani. Ciao Daniele! Per il pubblico di Magazine Pragma potresti essere un volto totalmente nuovo. Quindi direi innanzitutto di spiegare quando e come nasce questa passione per lo storytelling sportivo. Perché sei uno storyteller e non un giornalista, e soprattutto perché marchi così tanto questa differenza?
Ciao Nicola, innanzitutto ti ringrazio, è bello ritrovarti, e saluto il pubblico di Magazine Pragma. Beh, la mia passione per lo storytelling e la scrittura è nata ormai tre anni e mezzo fa, quando decisi di fondare La Gazzetta di Don Flaco (che vi invitiamo a seguire, a questo indirizzo, su Facebook, ndr) insieme al mio amico Fabio Simonelli, con cui tra l’altro ho sempre condiviso la mia passione per il calcio argentino e sudamericano. Confesso che la mia idea nacque da una necessità, una mancanza. Quella del calcio giocato. Ho inseguito un sogno per circa tredici anni, a diciassette l’ho sfiorato e a diciotto l’ho perso definitivamente, a pochissimi metri dal traguardo, per colpa di due ginocchia eccessivamente fragili. Sono anni che non potrò dimenticare o riporre in un cassetto dei ricordi, ma quando i medici e le persone a te più vicine ti chiedono di dire basta, e quasi ti implorano, capisci che ci sono tante altre cose nella vita. Ti puoi reinventare, puoi ricostruire tutto, mattone dopo mattone. Anche se non posso negarti che darei un anno di vita anche solo per farmi un calcetto con gli amici di sempre, ogni tanto (ride, ndr). I valori, gli insegnamenti e tutto ciò che il calcio mi ha regalato, compresi i miei due storici migliori amici, hanno fatto sì che la necessità declinasse in qualcosa di più, in passione. Mi sono detto tra me e me: “Il calcio mi ha dato tutto, ora io voglio ridare tutto al calcio”. Tutto è nato così. Senza un’impronta, senza un modello e senza un percorso da seguire tratteggiato a matita.
Viviamo un’epoca dove il giornalismo rasenta il chimerico, perché rappresenta un settore ormai saturo dove fin dal principio ti viene esplicitamente detto che senza agganci e senza vendere il culo non puoi farcela. Un giornalismo superficiale, dove non c’è più tempo per creare dibattiti ed opinioni. Per raccontare e lasciarsi trasportare dalla passione che questo sport riesce a comunicare. No, perché tutti devono anticipare tutti, conquistarsi lo scoop e involarsi verso la pubblicazione dell’articolo alla stessa velocità con cui Mbappé si invola verso la porta avversaria. Peccato che poi anche i giornalisti più “stimabili” se devono parlarti di Exequiel Palacios, per farti aprire l’articolo, mettono in copertina la foto della sua ultima “conquista” mezza nuda. Giusto perché likes e clic sul piatto della bilancia pesano ormai molto di più della competenza e dell’arricchimento del proprio bagaglio personale circa un determinato tema. Ma se sono contenti del loro operato questi “professionisti” chi sono io per contraddirli? In un mondo di Mbappé, io me la vivo alla Riquelme. Tutti vogliono arrivare al traguardo prendendo l’autostrada a quattro corsie e impiegando due ore, io preferisco mettercene sei riempiendomi gli occhi di paesaggi meravigliosi utilizzando una tortuosa strada panoramica, parafrasando Jorge Valdano. Serve più comprensione della realtà e meno superficialità, ecco perché rimarco questa differenza. Ecco il motivo per cui ad oggi, di modelli, ne riprendo pochi. Prendete dei veri professionisti come Luca Capriotti, o Alberto Bertolotto, o Simone Galeotti. Loro sì, che fanno giornalismo, a differenza di tanti, troppi venditori di fumo.
A “microfoni spenti” abbiamo spesso accennato al tuo libro, un progetto che stai curando da tanto tempo. C’è qualche nuova chicca da svelarci a riguardo? Insomma, quanto manca per il debutto editoriale di Daniele Pagani?
I lavori sul libro procedono dai, sempre a fari spenti eh (ride, ndr), con l’introduzione e il primo capitolo su Javier Saviola ormai in fase di ultimazione. Devo ammettere che cimentarsi in una sfida di questa portata a ventidue anni non è semplice, ma sentivo il bisogno di alzare l’asticella. Forse il vero problema che sto incontrando al momento è proprio quello di dovermi misurare con me stesso. Chi mi conosce sa fin troppo bene che standard di perfezionismo mi pongo, quanto io sia legato al concetto di offrire sempre un taglio diverso ad un racconto, che deve necessariamente essere un mix tra narrativa, riflessività filosofica e completezza d’informazione. Una sorta di estetismo letterario che tuttavia non vuole anteporsi alla qualità contenutistica. Al mio fianco ho Alberto Bertolotto, che non potrò mai ringraziare abbastanza per l’aiuto e il sostegno che mi sta fornendo pur essendo pieno di lavoro e che, dopo il successo di A ritmo di Polska, uscirà a breve con un nuovo libro. Il lavoro su Saviola se devo entrare nel dettaglio mi fa davvero comprendere quanto scandagliare la vita e le esperienze di un soggetto specifico equivalga a creare un’amicizia nella vita reale. Tutti conoscono Javier perché ha giocato nel River Plate, nel Barcellona e nel Real Madrid. Come nella vita di tutti i giorni capita di conoscere svariate persone per il nome, per ciò che fanno nella vita, per trascorsi e per “sentito dire”. Ma come un’amicizia vien da sé, spesso ascoltando e condividendo esperienze e filosofie di vita. Anche raccontare un personaggio richiede introspezione e profondità riflessiva. Di Javier tutti sanno che veniva chiamato El Conejo per gli incisivi sporgenti, ma chi sa la verità che si cela dietro questo nomignolo? Che in realtà deriva dal suo modo di correre e gli fu affibbiato dal Mono Burgos. Tutti lo conoscono come uno dei “nuovi Maradona”, ma chi si ricorda che dopo il Mondiale Under-20 vinto con Pekerman un quindicenne Sergio Agüero venne definito, poco prima di diventare El Kun, il nuovo Saviola, appunto? Ricerca della verità, meticolosa e costante. Chi è che conosce davvero il suo rapporto padre-figlio con Pekerman, o il rapporto di rispetto reciproco mai sbocciato da un punto di vista meramente tecnico con Bielsa? Lo so io, e ve lo racconterò nel mio lavoro. Spero di consegnarlo presto, perché ho fame di risultati e voglia di dire la mia, offrendo qualcosa d’inconsueto e coinvolgente. I protagonisti del libro, comunque, saranno sei. Ve li svelerò man mano che andranno avanti i lavori (ride, ndr).
Daniele Pagani: “Tanti talenti da tenere d’occhio in Sud America… Finale Boca-River? C’è hype!”
Quando penso a Daniele Pagani penso al Sud America. Sei un esperto di talenti d’oltreoceano, oltre che un grande appassionato. Quali sono ad oggi i nomi nella tua lista personale di possibili craques futuri provenienti da quelle parti?
Partendo dalla Superliga argentina il primo nome che metto in lista è quello di Leo Balerdi del Boca Juniors. Centrale difensivo classe ’99 che nel giro di un paio di stagioni potrebbe ritagliarsi un certo spazio sia con Guillermo Barros Schelotto che con la maglia della Selección. Seguo con tanto interesse Leonel Rivas del Rosario Central, Kevin MacAllister dell’Argentinos Juniors, una squadra che storicamente si rivela tanto caparbia quanto sagace nell’attività di scouting tra Buenos Aires e i suoi quartieri limitrofi, ma anche Tomás Belmonte del Lanús e Cristian Insaurralde del San Lorenzo possono dimostrare tantissimo nell’immediato. Se proprio devo fare il nome di un talento che mi ha rapito il cuore, però, dico assolutamente Thiago Almada del Vélez Sarsfield. Trequartista moderno e classe 2001 che sotto la guida di Gabriel Heinze può davvero diventare l’ennesimo talento prodotto dal Fortín. Della stessa età, oltrepassando il Rio de la Plata, troviamo Facundo Milán, attaccante del Defensor Sporting che – ricordiamolo – negli ultimi anni ci ha abituato piuttosto bene in materia di talenti: Martín Cáceres, Diego Laxalt, De Arrascaeta, Mauricio Lemos, Diego Rolán e Maxi Gómez sono solo alcuni dei gioielli provenienti dalle giovanili Violetas.
Tornando a Facundo: ha una storia decisamente particolare, che merita di essere raccontata. A scoprirlo è stato il Profe del Defensor, quel César Santos che nel 1976 fece da preparatore atletico alla squadra che ha cambiato la storia del fútbol uruguayo, per sempre, rompendo l’egemonia di Nacional e Peñarol in campionato. A fine 2016, nel tardo pomeriggio di capodanno, César telefonò a Facundo dalla sua stanza di ospedale a Montevideo per fargli gli auguri, ma oltre ai classici convenevoli predisse che il ragazzo nell’anno nuovo avrebbe esordito in prima squadra. El Profe morì due giorni dopo, ma la sua premonizione è diventata leggenda: nell’ottobre del 2017 Milán ha esordito con il Defensor di Eduardo Acevedo e ha segnato una doppietta contro il Plaza Colonia. Lascio a voi l’arduo compito di scoprire a chi ha dedicato le sue prime reti. In Brasile si parla davvero troppo poco di Lincoln del Flamengo, e non ti nego che la cosa mi indispettisce, perché questo ragazzo secondo me è più forte di Vinicius Junior. Negli ultimi giorni il suo agente ha anche accennato ad un possibile trasferimento all’Inter, in uno scambio alla pari con Gabigol, che interessa e non poco al Mengão. Mi piace anche il mediano del Corinthians, Guilherme Mantuan. È un ’97, ha ottimi margini di miglioramento, è bravo sia in fase di interdizione che nella costruzione della manovra, dove sa partecipare in maniera proattiva al gioco del collettivo. Infine, tornando all’Argentina, segnatevi anche i nomi di Agustín Almendra, sempre del Boca, e Santi Sosa, che pochi giorni fa ha debuttato con il River Plate contro l’Estudiantes.
La finale di Copa Libertadores sarà proprio Boca Juniors – River Plate, un classico del calcio mondiale. Le due squadre sono arrivate meritatamente in finale? E soprattutto, chi bisogna tenere d’occhio per quelle due partite?
Quando parlo di Boca e River il cuore mi si spacca letteralmente in due e divento estremamente contraddittorio (ride, ndr). Tifo per gli uomini di Schelotto, ho sangue azul y oro, ma il mio grande idolo resta senz’ombra di dubbio Pablo Aimar. Un giocatore straordinario e inarrivabile, fuori dalla portata dei comuni mortali. Ovviamente da tifoso del Boca ho tifato per il River Plate in semifinale, perché volevo questo match più di chiunque altro. Difficile fare pronostici attendibili, ma credo che Darío Benedetto e il Pity Martínez potrebbero davvero rappresentare gli aghi della bilancia per le rispettive compagini bonaerensi. Quest’ultimo, in particolare, credo che interpreti la finale di Copa Libertadores come la ricerca di una conferma definitiva prima di approdare nel calcio europeo, con la Fiorentina che sembra interessata ad acquistarlo e dovrà vedersi dalla forte concorrenza del Celta Vigo, dove tuttavia c’è da considerare la posizione di Antonio Mohamed, che pur essendo il primo sponsor del ragazzo non vive una situazione stabile sulla panchina del club galiziano. Temo molto il mio amico Exequiel Palacios, che ho conosciuto qualche mese fa in occasione di un’intervista per La Gazzetta di Don Flaco (se cliccate qui, vi trovate reindirizzati direttamente al sito, ndr). Gli ho augurato buona fortuna, ma gli ho anche messo una pulce nell’orecchio dicendogli di muoversi a firmare con l’Inter subito dopo la finale (ride, ndr). Saranno due match infuocati e molto equilibrati al netto del valore tecnico presente da entrambe le parti. Per il Boca Juniors c’è Barrios che può cambiare gli equilibri, così come Nández. Mentre per il River Plate occhio a Borré, Ponzio e Martínez Quarta. Infine non vedo l’ora, dopo costanti e reciproche provocazioni, che Mágallan e Pratto se le diano di santa ragione. Ai posteri l’ardua sentenza, perché se a ‘sto giro non ci lascio le penne per un infarto mi va di lusso… (ride, ndr).
Daniele Pagani tra Arthur e Vinicius Jr: “Il primo è già pronto, per il secondo ci vorrà tempo…”
Prosegue la nostra intervista a Daniele Pagani (che potete seguire qui, su Facebook, ndr). Pensandoci, qualcuno il salto in Europa l’ha già fatto, anche se non a tutti va a gonfie vele. Parlo di Arthur e Vinicius Junior, che stanno vivendo esperienze diverse in Spagna. Cosa ne pensi del nuovo regista del Barcellona?
Arthur, più che regista, è un tuttocampista (ride, ndr). Ogni cosa che fa sul campo è ragionata, e la fa in maniera eccezionale. Un calciatore da stropicciarsi gli occhi. Ha raccolto l’eredità di Andrés Iniesta e sta facendo sua la “mistica” che avvinghia la otto blaugrana. La partita con l’Inter al Camp Nou credo sia stata la prova più evidente del suo talento. Credo che tra un paio d’anni saremo qui a parlare di uno dei tre centrocampisti più forti e completi al mondo. Ricordo che prima della finale di Copa Libertadores dello scorso anno, quella vinta dal Grêmio ai danni del Lanús, tutti i miei amici in birreria mi chiesero chi fosse il vero top-player del club brasiliano. Non facevo neanche in tempo a parlare che venivo incalzato su Luan. Perché più mainstream, più mediatico, più tutto. Ma nel mio percorso calcistico giovanile ho avuto la grande fortuna di conoscere un signore, “il brasiliano” come lo chiamavano tutti, che Zico elogiava e Pietro Vierchowod temeva quasi al pari di Maradona: Giampaolo Montesano. Anche se dubito si ricordi di me, dato che all’epoca avevo 14/15 anni, mi ha insegnato a viaggiare sempre controcorrente. “Se tutti gli altri vanno a destra, tu vai a sinistra” (ride, ndr). E Arthur, per me, è stata la scelta controcorrente più bella di tutte. Non ho tante altre parole da spendere sul suo conto. Un fenomeno: non per chissà quali giocate, ma per la divina semplicità con cui gioca a pallone.
E dell’ex Flamengo invece? Potrebbe essere un flop o semplicemente deve ancora adattarsi?
Sul tema Vinicius mi pongo sempre nel mezzo, tra chi non lo reputa ancora pronto e chi invece sputa veleno senza considerare alcuni, importanti elementi contestuali. Io ho sempre sostenuto che questo ragazzo, per rendere al meglio, deve giocare libero e pieno della sua ingenua arroganza. Che non è sempre un male, sia chiaro, ma può essere facilmente travisabile. Nelle ultime settimane si è parlato anche di un possibile prestito alla Roma, o in altri club come Borussia Dortmund e Arsenal. Spero non si concretizzi nulla di tutto questo, sarebbe solo un altro fattore deterrente nel percorso di crescita da lui iniziato. Il caso Halilović è un esempio lampante. Piuttosto continuerei ad alternarlo tra prima squadra e Castilla quest’anno, perché potrebbe utilizzare le partite con la squadra riserve per guadagnare minuti nelle gambe e fiducia, senza farsi stigmatizzare sull’eredità vacante lasciata da CR7. A Casemiro, in fin dei conti, qualche anno fa gli non dava una lira nessuno, guardatelo ora. Vinicius ha un talento immenso, ma “tutto e subito” è un concetto che non si applica al calcio, non funziona e non funzionerà mai.
Daniele Pagani, l’idolo L. Martínez alla sua Inter e il possibile impatto di Paquetá in Italia
Rimanendo in tema di talenti sudamericani: quando è giunta la notizia di Lautaro Martínez all’Inter ti ho pensato, ricordando una nostra vecchia chiacchierata su Football Scouting (per chi volesse rileggere questa vecchia intervista a Daniele Pagani del marzo scorso, la trova qui, ndr). Che soddisfazione si prova a vedere uno dei propri pupilli giocare nella squadra del cuore? Perché ricordiamolo, per chi non lo sapesse, che sei interista.
Vedere Lautaro in nerazzurro è qualcosa che mi scalda il cuore, la dimostrazione che il destino è volutamente aracnico e spesso si lascia andare all’alta sartoria. Ha esordito al Cilindro con la maglia del Racing subentrando a un certo Diego Milito, ricordiamolo, e ora gioca nella mia Inter. Più felice di così non potrei essere. Con il Cagliari è riuscito a trovare la via del gol, ma credo che Spalletti lo voglia centellinare per non caricarlo di eccessive responsabilità in questo girone d’andata. Batistuta e Crespo hanno ragione quando affermano di vedere in lui un auto sportiva, che dunque ha bisogno di qualche chilometro di rodaggio prima di raggiungere le migliori prestazioni. In vista del girone di ritorno mi sento di puntare su di lui tutte le mie fiches, sarà la variante Y della stagione nerazzurra. Ci avevo azzeccato con Rafinha lo scorso anno, dicendo che sarebbe stato “l’uomo in più”, quindi mi auguro di vederci lungo ancora una volta.
Ed invece Lucas Paquetá che arriverà al Milan nel gennaio prossimo, che impatto potrebbe avere nel nostro campionato? Lo vedi titolare nella squadra di Gennaro Gattuso?
Paquetá stimola parecchio la mia curiosità, non lo nego. Credo sia un giocatore molto intrigante e pieno di sfaccettature, curioso. Possiede un sincronismo tattico fuori dal comune, perché in futuro lo vedo più da mezzala che vero e proprio dieci, pur mantenendo un atteggiamento da trequartista anche quando gioca in posizioni slegate dalla mera rifinitura, ma al contempo mi sembra necessiti di un ulteriore step di crescita sia tecnico che muscolare. Più concretezza e meno metafisica, ecco. In un centrocampo a tre potrebbe davvero crescere in maniera esponenziale, anche perché possiede un’impronta completamente diversa da tutti gli altri centrocampisti rossoneri. E cito Biglia, Kessié e Bonaventura perché effettivamente non so quante chance ci siano che Bakayoko venga riscattato a fine stagione. Credo che potrebbe faticare un po’ nei primi mesi in Italia, ma riuscirà ad emergere in virtù del suo talento: in parte neoclassico, in parte barocco. Dovrà imparare, prima di tutto, il ritmo e le “licenze” concesse dal calcio italiano. Mi viene in mente ad esempio, lampante, Ricky Álvarez. Un giocatore dal talento fuori dal comune, che tuttavia nel primo anno all’Inter ha faticato davvero tantissimo per il suo vizio di portare troppo il pallone, di concedersi un tocco in più, che in un calcio come il nostro fa effettivamente la differenza. Paquetá dovrà saper distinguere l’eccesso dal rischio e il semplice dal banale, a quel punto vedremo un grandissimo giocatore.
Daniele Pagani: il “pronostico” sulla Serie A ed un pensiero anche su Emiliano Rigoni
Un altro appena arrivato in Italia è Emiliano Rigoni, dopo un anno in Russia allo Zenit. Diventerà un giocatore importante per l’Atalanta? A Bergamo lo riscatteranno?
Ammetto che la notizia di Rigoni all’Atalanta negli ultimi giorni di mercato è stata una sorpresa incredibile. Ovviamente con accezione tutta positiva, rispetto alla sua decisione dell’anno prima di firmare con lo Zenit San Pietroburgo. In Russian Prem’er Liga ha faticato parecchio a trovare la sua dimensione, come tanti dei suoi connazionali. Mi viene da pensare a Emanuel Mammana, che solo a distanza di un anno è riuscito a riconquistarsi la maglia della Selección, e poi penso anche a Driussi, da cui ci si aspettava qualcosa di più in termini realizzativi. Tornando a Rigoni, senza dilungarmi in maniera eccessiva, dico che continuando a cavalcare l’onda potrebbe davvero ritagliarsi un posto da intoccabile nello scacchiere di Gian Piero Gasperini. E credo anche che il desiderio degli orobici sia di riscattare il suo cartellino per tenerselo stretto. Penso che Emiliano possa arrivare alla doppia cifra, ha tutto per fare grandi cose nel calcio italiano.
L’ultima volta che ti ho chiesto un parere sulla Serie A, hai indovinato praticamente tutti i pronostici. A questo punto voglio sapere: quali saranno, secondo Daniele Pagani, le squadre che chiuderanno la stagione dal primo al quarto posto e perché? E chi invece rischia di retrocedere a sorpresa?
Infatti, maledetti voi (ride, ndr). Da quando ho azzeccato quei pronostici, anche un po’ di culo sinceramente, perché a mio avviso erano piuttosto ovvi, i miei amici vengono a prelevarmi a casa e mi portano al tabacchino più vicino per giocarsi la schedina nel weekend. Poi si arrabbiano con me se perdono (ride, ndr). Comunque quest’anno vedo sempre la Juventus là davanti, perché CR7 sì o CR7 no, i bianconeri restano un rullo compressore. Anzi, ti dirò, sono rimasto abbastanza sbigottito dopo il pareggio con il Genoa. Credevo davvero ad un campionato a punteggio pieno. Penso che il collettivo di Massimiliano Allegri possa comunque abbattere il record di punti in Serie A. Al secondo posto dico l’Inter, che dopo un inizio non facile è riuscita a recuperare terreno. Se nel mercato di gennaio dovesse arrivare un centrocampista di livello internazionale, e non dico per forza Modrić, anche se posso assicurarvi che i contatti con il croato procedono serrati, credo che in nerazzurri potrebbero davvero diventare l’anti-Juve a partire dal prossimo campionato. Sono costantemente monitorati i profili di Palacios e Tonali per il centrocampo, mentre per l’affare Barella manca davvero poco. Se devo fare due nomi, invece, che rispecchiano i miei gusti dico Lobotka e Weigl senza pensarci due volte. Al fianco di questo Brozović, vale per entrambi, formerebbero una linea mediana strepitosa e completa sotto ogni punto di vista.
Terzo il Napoli, e già questo pronostico va stretto agli uomini di Ancelotti. Gli invidio Fabián Ruiz, che giocatore! La modernità in persona. Per il quarto posto dico la Roma, perché alla lunga si dimostrerà superiore a Lazio e Milan per completezza di organico. La squadra di Eusebio Di Francesco verrà fuori, prima o poi. La Fiorentina può declinarsi nell’ipotetica sorpresa, Pioli ha un collettivo di talento, ma tanto giovane. Una mina vagante, ecco. In coda invece confermo le tre squadre che già occupano le ultime posizioni: Empoli, Frosinone e Chievo Verona. Il Bologna e l’Udinese hanno qualcosa in più di loro a livello tecnico ed esperienziale. Sono felice di vedere De Paul rendere in questo modo, è un giocatore che ho sempre amato e per il quale avevo predetto un “bivio” in carriera in un pezzo scritto per Esquire qualche mese fa, prima dell’inizio di stagione. Che piacere rivedere tutta questa qualità in lui.
Un ringraziamento speciale a Daniele Pagani per il tempo che ci ha dedicato, alla prossima!