All’interno della rassegna della 18°edizione di Napoli Film Festival è presente il film documentario di Ernesto Pagano del 2015, dal titolo Napolislam.
Tra i 93 film in programmazione della rassegna scelti con accuratezza e oculatezza, troviamo la proiezione di Napolislam di Ernesto Pagano, regista, giornalista, laureato in studi arabo-islamici, che racconta con tatto e discrezione e nella più assoluta normalità – permea di sceneggiatura vivace e folcloristica data dai personaggi – la realtà della conversione all’Islam, nella città che più di ogni altra fa dei propri mentori, divinità da seguire, e come modello di vita, e di fede, che siano sportivi, religiosi o artisti.
Si, perché solo a Napoli puoi trovare delle cappelle votive dedicate ad un calciatore, tale e tanta è la simbiosi che avviene tra il napoletano e chi in qualche modo e per vie diverse, intinge inconsapevolmente nel suo animo quell’alito di riscatto, di speranza, in quella sofferenza latente ed evidente da sempre presente nel popolo partenopeo.
Ecco che si prova a raccontare da dentro e non da fuori questo fenomeno che attraversa il globo, partendo dalle singole e quotidiane realtà di una città come Napoli dove si racconta il cambiamento, la metamorfosi spirituale e di vita avvenuta in alcuni di loro.
Una telecamera lenta e discreta attraversa queste realtà nel loro quotidiano, mostra con occhi curiosi il percorso di dieci napoletani veraci approdati alla fede islamica. Giovani e donne, disoccupati, padri di famiglia si raccontano nella più assoluta normalità fatta di perplessità, bisogno di approfondire e rasserenare le loro inquietudini. Un affresco delle consuetudini del vivere napoletano che è storia fatta di continue integrazioni, e tra il paradosso e la battuta, tra la sacralità e il quotidiano, tra le lacrime e quella comicità latente che hanno solo i napoletani nel raccontarsi, si sviluppa la trama del film.
E sarà Francesco “Muhammad” e le sue sorelle a esporre, di quella serenità di cui hanno bisogno e in cui si ritrovano solo fra le mura domestiche, poiché fuori vengono visti come diversi, incompresi e costretti a rispondere sempre alle stesse domande, a volte palesi, altre celate da sguardi indiscreti. Dinamiche che affrontano anche gli altri nove personaggi, come Giovanni “Yunis”, anziano che pratica con una pacatezza incredibile il suo credo dietro la tolleranza per il quieto vivere della moglie, di fede cristiana. Poi c’è Danilo “Alì” rapper napoletano, Alessandra “Amina” impegnati in discorsi surreali con la madre, napoletana sanguigna e verace su come sia avvenuto questo passaggio, scelta sua e non incoraggiata dal fidanzato, come lei asserisce.
Tra tutti questi napoletani colpisce e rimane nella mente dello spettatore la vena inconsapevolmente ironica di Giovanni “Abdel Karim” netturbino, cattura con la sua veracità celata dal dramma della perdita di una figlia morta di cancro, motivo per cui parte questo lento avvicinamento e poi conversione alla fede islamica, e sul finire la durezza di uno degli ultimi napoletani convertiti, tale Salvatore “Muhammad” disoccupato, incazzato e deluso dalla realtà che vive.
Egli ha le parole più dure all’orecchio di chi ha dei preconcetti verso questa fede, e al tempo stesso forse quelle che meritano maggiore attenzione. Questo film scorre tra i vicoli di Napoli, le preghiere per strada, le modeste abitazioni dei protagonisti, l’associazione culturale “Zayd Ybn Thabit”. Tra la ricerca del lavoro, la preparazione di un “casatiello napoletano Halal versione Islam” e i passeggeri di un taxi che conversano con l’unico non napoletano dei protagonisti, Marzouk, musulmano di Tunisi. Discorsi reali, fatti di domande curiose, alle quali lui però risponde con una pacatezza fatta di vita vissuta, attraverso sofferenze, adattamenti, ma tra tutti i musulmani presenti nel film, lui risulta agli occhi dello spettatore, quello più laico.
Questa percezione dovrebbe essere motivo di approfondimento, mettendo le due realtà a confronto, tra chi è per famiglia di tradizione musulmana e chi lo diventa per scelta. O forse la risposta è già insita, ovvero, la totale abnegazione verso una religione, qualsiasi essa sia, nasce quasi sempre da una ricerca di benessere interiore, dal rifiuto di una realtà opprimente e deludente e senza speranza per il futuro, endemica in una città come Napoli. Il cui futuro – rifugio sembra trovarsi solo nella fede.
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