Hunters – Operazione coraggiosa e ambiziosa che punta sulle influenze tarantiniane e sulla presenza di Al Pacino nel cast: eccone tutti i pregi e i difetti.
Hunters, trama
Che il protagonista Jonah sia un bravo ragazzo con qualche difficoltà ad approcciarsi alla violenza e all’aggressività lo scopriamo subito. Siamo nella New York del 1977 e quando il giovane ebreo prova a spacciare per guadagnarsi qualcosa l’esito appare tragicomico. Di lì a poco assisterà inerme all’omicidio di sua nonna senza nemmeno provare a difenderla. Ecco perché Meyer Offerman (Al Pacino) riuscirà a convincerlo ad unirsi alla sua squadra di cacciatori di nazisti, che agisce per sete di vendetta ma nel frattempo scopre un piano segreto per mettere in piedi il Quarto Reich in terra americana. In mezzo a tutto ciò una detective dell’FBI prova a fare chiarezza sul sangue che continua ad essere versato.
Inizialmente Jonah (Logan Lerman) appare incapace di adattarsi ai modi di agire degli Hunters, gruppo composto da ebrei sopravvissuti alla follia nazista. Ha compassione per le vittime e quasi rifiuta disgustato la visione della violenza. Che sembra comunque in qualche modo turbare anche membri più esperti del gruppo e stride particolarmente con Murray e Mindy Markowitz la coppia di coniugi che ha perso un figlio piccolo per mano dei nazisti. Dopo averlo inseguito per una vita adesso si trovano in casa il killer eppure faticano a concretizzare la vendetta.
Recensione
Vengono rappresentati fatti realmente accaduti come come l’operazione Paperclip, con la quale gli americani assunsero oltre 1600 tedeschi per primeggiare nella Guerra Fredda e nell’esplorazione spaziale. La serie spinge a riflettere sull’etica della vendetta, sulla giustizia ottenuta con le proprie mani lì dove la polizia latita. C’è una chiara influenza tarantiniana soprattutto per quanto riguarda la spettacolarizzazione della violenza; c’è il desiderio di vendetta di Kill Bill, ad esempio. Ma non ci sono lo stesso ritmo e la stessa tensione costante come purtroppo spesso accade quando si tratta di prodotti seriali, per forza di cose dilatati nel tempo e che necessitano per questo di script più brillanti e impegnativi. Il tutto considerato anche che le puntate oscillano tra l’ora e l’ora e mezza di durata.
Tra ambientazioni d’epoca notevoli, comicità nera e inserti extradiegetici che divertono e alleggeriscono la tematica della narrazione, troviamo alcune scene ben riuscite e di alto impatto emotivo come quella della partita a scacchi giocata con uomini e donne in carne e ossa in quel di Auschwitz, dove i pezzi che perdono muoiono uccisi, montata in parallelo con una partita vera e proprioa tra Jonah e Offerman. Si tratta di una situazione (sfruttata anche dalla sigla) completamente inventata e che ha causato tra l’altro non poche polemiche con l’Auschwitz Memorial. Troviamo in generale immagini e situazioni forti inserite in una trama che bene o male regge, problemi di ritmo già citati a parte, grazie ad un cast brillante. Nel quale, va detto, non sembra esser stata sfruttata al meglio la presenza di Al Pacino con un personaggio che doveva avere maggior spazio e ragion d’essere. Emerge per caratterizzazione ivece il personaggio interpretato da Josh Radnor, un attore mai esploso che si comporta in modo eccentrico e narcisista. Funziona in maniera ampiamente inquietante anche Dylan Baker, nazista disposto anche a massacrare la sua famiglia nella prima scena della serie. Ma la sensazione finale è che non si sia trovato il giusto punto d’equilibrio tra tutto ciò che “Hunters” intedeva essere, pur non mancando diversi momenti di divertissement.