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Il buco, trama e recensione

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Il buco, trama e recensione

Il buco, un film crudo ma sorprendentemente brillante, inquietante ed efficace metafora della società in cui viviamo e degli esseri umani che la compongono

Ogni battuta pronunciata dai personaggi del film “Il buco”, appena rilasciato su Netflix che lo ha acquistato dopo la conquista del premio del pubblico al Toronto International Film Festival dell’anno scorso, che ci piaccia o meno ci dice qualcosa di quello che siamo e di come viviamo. Tutto questo nonostante sia ambientato in una location ampiamente surreale, lontana dalla realtà e immerso in una miscela esplosiva di horror e thriller.

Il buco, trama

Goreng (Iván Massagué) si risveglia in una sorta di carcere sviluppato in altezza con al centro un buco che attraversa gli oltre trecento livelli di cui è composto.  Da questo “buco” passa la piattaforma con il cibo destinato ai reclusi ma a chi si trova ai livelli inferiori arrivano soltanto i resti o anche nulla. Ogni piano ospita due persone che vengono trasferite ogni mese ad un livello diverso e più in basso ci si trova più si assottigliano le possibilità di sopravvivere. Goreng decide di provare a distruggere dall’interno questo sistema ma capirà ad un certo punto che per farlo non dovrà salire in superficie ma bensì scendere fino a toccarne il fondo.

Recensione

Anche un buono come il protagonista rischia di diventare un assassino quando vige la regola “o mangi o vieni mangiato”. Il buco dovrebbe essere in teoria un centro verticale di autogestione ma in realtà è un luogo in cui si pensa a salvare soltanto la propria pelle e non certamente a razionare il cibo. Eppure se tutti mangiassero solo quello di cui hanno realmente bisogno nessuno morirebbe; la critica sociale e capitalistica qui è immediata e impietosa. Chi esercita solidarietà o si permette di rincorrere un sogno viene preso per pazzo e convincere ad adoperarsi per il bene di tutti chi si trova ad un livello superiore è praticamente impossibile. Anzi, chi sta sopra di te oltre a non aiutarti ti affossa quando sei vicino ad emergere. In tutto ciò si fa presto a scaricare le colpe sull’amministrazione del buco.

Non manca in questo lungometraggio un po’ tra Luis Buñuel e “Saw – L’enigmista” nemmeno una pungente riflessione su ciò che la religione rappresenta per i disperati e sulle televendite che ti fanno comprare ciò di cui non hai bisogno (vedi il coltello che si porta dietro il primo compagno di livello di Goreng). È vero che chiunque raggiunge le alte sfere si corrompe e diventa ingordo e spietato? Ci si può arricchire senza farlo sulle spalle di altri esseri umani? Come nella vita occorre qui scendere per poi risalire, portarsi al livello degli ultimi per elevarli e mandare così un messaggio al sistema: questa la ricetta suggerita dal regista e dagli sceneggiatori sul finale.

Ironia della sorte, in questi giorni di quarantena forzata Netflix ha messo in atto proprio la pratica di condividere e frazionare il bitrate per non far mancare la connessione internet a nessuno. Questo è quello che si direbbe fare buon uso della ricchezza, che tra l’altro risolverebbe i problemi di tutti quelli rinchiusi nel buco. La piattaforma di streaming aggiunge al suo catalogo un film brillante, illuminante, punteggiato dalle notevoli musiche di Aranzazu Calleja infarcite di percussioni, con ottimi effetti speciali, confezionato con vari strati e quindi capace anche soltanto di intrattenere sapientemente chi non vuole andare troppo in là con le riflessioni sociali.

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