Ghost in the Shell – Le parole Nerd ed Otaku sono sempre state viste, in un modo o nell’altro, come dispregiative. Riassumendo: il primo è un termine con cui viene definito chi ha una certa predisposizione per la tecnologia ma anche con una ridotta vita sociale. Il secondo indica una persona ossessivamente appassionata di anime e manga.
Il significato delle parole in sé non ha importanza. In questa rubrica, una volta alla settimana, parlerò di fumetti, videogiochi, manga, anime e serie animate. Di conseguenza il titolo di questa rubrica mi sembra più che appropriato. Il primo episodio è dedicato ad un prodotto che, in un certo senso, cela in sé sia l’oriente che l’occidente: Ghost in the Shell.
L’opera in questione è un “media franchise”. Ovvero un marchio sfruttato per diversi prodotti dell’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento. Caratteristica fondamentale è che i prodotti del franchise non seguono lo stesso universo narrativo. Esempio lampante: il MCU. L’universo cinematografico Marvel è diverso da quello dei fumetti.
L’opera principale è il manga “Ghost in the Shell” di Masamune Shirow del 1989. Il manga ha poi ispirato diverse opere: tre film anime (Ghost in the Shell, Ghost in the shell 2 Innocence;uscito in Italia col titolo L’Attacco dei Cyborg; Ghost in the Shell 2.0), tre serie animate (Stand Alone Complex, 2nd GIG ed Arise), due special conclusivi vale a dire episodi che chiudono le questioni in sospeso in una serie tv (il film Serenity per la serie Firefly). E nel 2017 è uscito un film in live action con Scarlett Johansson.
Inoltre su Netflix è attualmente in produzione un’altra serie animata “SAC 2045”, sequel di 2nd GIG.
Le trame dei vari franchise sono diverse ma hanno tutte alcuni punti in comuni: in un futuro non troppo lontano (2032 nel manga) è comune per le persone avere o un corpo completamente artificiale o almeno un cervello cibernetico. Le varie storie seguono le vicende della sezione 9 della polizia che si occupa dei crimini legata all’Hacking (che nell’universo creato da Shirow si è evoluto diventando il più pericoloso, dato che è possibile addirittura piegare gli esseri umani alla volontà dell’hacker) al comando del maggiore cyborg Mokoto Kusanagi.
Il titolo si riferisce allo spirito che risiede nei vari corpi. Dato che i corpi sono quasi delle custodie (non è raro che alcuni miliardari cambino corpo quasi per gioco) si riferisce alle persone con il termine Ghost, cioè alla personalità della persona all’interno del guscio.
I temi variano da opera ad opera ma rimangono comunque molto profondi e mai banali. Si passa dalla critica dell’eccessiva evoluzione della tecnologia, al rapporto fra uomini e macchine, ma anche fra religione e macchine (diverse confessioni cattoliche e buddiste rifiutano la conversione in cervelli cibernetici). Ma anche alla corruzione dovuta al potere. Non a caso spesso e volentieri il governo, o le varie aziende produttrici di chip ed altri componenti, in nome della salvaguardia dell’azienda o del paese, non esitano a sacrificare tutto e tutti (problema questo molto caro ai giapponesi).
Particolarmente belli sono i dialoghi, nelle serie Stand Alone Complex, fra i Tachikoma (macchine senzienti usate sia come veicoli che come pattuglie). Sotto una voce infantile e giocherellona, queste macchine arrivano ad interrogarsi anche sul senso della vita, in che modo possono avvicinarsi agli esseri umani ed ai cyborg.
Nei film i personaggi sono molto più seri rispetto alle loro controparti cartacee e delle serie tv. Non che siano comici, ma a volte i dialoghi fra il maggiore e Batou (secondo in comando della sezione 9) alleggeriscono la tensione.
Due curiosità: il film del 2017, quando fu annunciata Scarlett Johansson nel ruolo del maggiore, fu accusato di Whitewashing (termine che indica una pratica dell’industria cinematografica in cui un attore caucasico ottiene il ruolo di un personaggio storicamente di un’altra etnia col fine di renderlo più appetibile al grande pubblico). Questo perché il nome del maggiore, Motoko, richiama un’etnia asiatica. Ma il personaggio non è mai disegnato coi tratti completamente asiatici.
Masamune Shirow è famoso anche per non aver MAI completato per intero le story line delle sue opera più importanti. Come per l’appunto Ghost in the Shell.
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