Living with yourself – Presentato più in sordina di altri titoli Netflix, questa serie tra commedia e dramma si rivela un prodotto che merita certamente la visione con due protagonisti di tutto rispetto come Paul Rudd e Aisling Bea.
Living with yourself, trama
Miles Elliott (Paul Rudd) non si trova in un periodo particolarmente felice della sua vita, sembra tirare avanti per inerzia e sua moglie (Aisling Bea) non è certo contenta di questo. Ecco che dietro l’imbeccata di un collega improvvisamente rigenerato decide di recarsi in una prodigiosa spa dove è possibile diventare la versione migliore di sé stessi grazie ad una elaborazione del dna e al versamento di 50 mila dollari. Ciò accade in realtà previa sostituzione vera e propria con un clone e con la morte dell’originale. Miles però si risveglia sepolto vivo e torna alla sua vita per riprendersi il suo posto accanto a sua moglie.
Recensione
Lo avevamo lasciato alle prese con il personaggio di Ant-Man all’interno dell’universo cinematografico Marvel. Adesso Paul Rudd si è cimentato in una serie tv certamente non semplice, nella quale ricopre un doppio ruolo incentrato sul protagonista e sul suo clone. Non è di conseguenza un caso se è arrivata anche una nomination ai Golden Globe per miglior attore in una serie commedia, insieme alle candidature di “Living with yourself” per i Critics Choice Awards e i Writers Guild Awards. Un Rudd grande mattatore, dicevamo, ma che può contare in questa occasione su una Aisling Bea al suo fianco capace di tenergli testa egregiamente.
Un ottimo script firmato da Timothy Greenburg, l’agile regia di Jonathan Dayton e di Valerie Faris e la presenza di Paul Rudd impreziosiscono notevolmente questo prodotto distribuito da Netflix. La trama riesce ad eludere il rischio dello scivolamento a senso unico nelle trovate comiche e include importanti momenti di riflessione. Miles e il suo clone posseggono gli stessi ricordi e, se inizialmente il giochetto è vantaggioso in quanto il secondo fa il lavoro sporco a lavoro, la situazione poi finisce inevitabilmente per precipitare. Kate infatti vuole qualcosa di più dal suo partner e inizialmente pensa di trovarlo nel clone di suo marito, salvo poi scoprire che quest’ultimo è fastidiosamente troppo perfetto e che i difetti che ci conferiscono umanità hanno la loro importanza. La serie si chiude con il suo annuncio neanche tanto imprevedibile ai due di essere incinta e lascia aperti spiragli concilianti dopo la tempesta. Vedremo se ci sarà o meno una seconda stagione, per la quale al momento non sono arrivate conferme ufficiali.
Gli otto episodi da mezz’ora scarsa compiono continuamente salti all’indietro per raccontare i medesimi archi temporali vissuti da ognuno dei tre protagonisti. La morale che sta alla base di “Living with yourself” è semplice quanto illuminante: vorremmo davvero essere perfetti? E sarebbe tutto migliore se lo fossimo? In un’offerta sconfinata di serie, tra l’altro spesso presentate molto più in pompa magna, si può correre il serio rischio di lasciarsi sfuggire prodotti garbati e di buona qualità come questi. In cui dietro l’atmosfera comedy si celano una certa malinconia e un’imprevedibilità che arricchiscono il tutto. Oltre a una buona dose di colpi di scena che insieme alla durata ridotta facilitano il binge watching.