“Mank” – Nel 1940 Herman J. Mankiewicz (Gay Oldman) si appresta a scrivere per il regista Orson Welles (Tom Burke) la sceneggiatura di “Quarto potere” nel deserto californiano del Mojave. Per questo capolavoro del cinema lo sceneggiatore con una certa facilità ad alzare il gomito trae spunto dai suoi trascorsi con l’imprenditore ed editore William Randolph Hearst (Charles Dance), la cui biografia guidò la creazione del personaggio protagonista di “Quarto potere”, e con il produttore cinematografico Louis B. Mayer (Arliss Howard).
“Mank”, recensione
In questa produzione d’autore targata Netflix ritroviamo David Fincher, sei anni dopo l’ultimo lungometraggio “L’amore bugiardo – Gone girl”, che ricostruisce con dovizia di particolari uno spaccato dell’universo degli addetti ai lavori cinematografici di Hollywood tra gli anni ’30 e ’40. Al centro c’è il personaggio interpretato magistralmente da Gary Oldman ma si tratta di un film per diversi tratti corale, che sostiene la tesi secondo la quale il capolavoro di Welles del 1941 sia stato scritto completamente da Mankiewicz. Al cui personaggio dalla battuta acuta sempre pronta vengono riservate battute e dialoghi memorabili.
Per realizzare un film che suo padre Jack (al quale viene attribuita la sceneggiatura) inseguì vanamente Fincher ci immerge nel bianco e nero di un suggestivo viaggio nel tempo, in una realtà raccontata da “Quarto potere” ma in fondo anche dai giorni che viviamo. Quella di una crisi politica e cinematografica decisiva per il futuro prossimo, animata da attori sempre più centrali come lo streaming on demand capitanato, ironia della sorte, proprio da Netflix. Che propone ai suoi abbonati un film non semplice, il cui numero di visualizzazioni non risulterà probabilmente stratosferico. Ed è anche comprensibile, in quanto viene presupposto un minimo di conoscenza di “Quarto potere” e di un cinema che fu. Ma si tratta di un’operazione che andava lanciata proprio con questo coraggio (che per vent’anni e più di rifiuti a Fincher gli studios non hanno avuto), per il bene del cinema duro e puro, proprio in questo momento.
Non ne esce bene la figura di Orson Welles, dipinto come un giovane cineasta fin troppo pieno di sé e pronto ad attribuirsi senza scrupoli lo script di Mank. Ma non ne escono bene nemmeno diversi altri personaggi del circo hollywoodiano, disegnati come aridi e avidi. Fincher rende però in ogni modo il suo tributo all’epoca d’oro di Hollywood e ad un’arte spesso messa in secondo piano quando si tratta di fare film. Dissolvenze al nero tra una sequenza e l’altra, le finte bruciature di sigaretta dei tempi della pellicola a rulli e un audio piatto e pieno di bassi in vecchio stile confezionano una ricostruzione straordinaria che presumibilmente avrà la possibilità di dire la sua ai prossimi premi Oscar.
“Mank” è disponibile in streaming su Netflix dal 4 dicembre 2020.