Una delle serie più attese di questo inizio del 2020, ben scritta e ben recitata: in tanti attendono già con ansia la probabile seconda stagione.
Messiah, vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se comparisse improvvisamente il nuovo Messia?
Prodotto molto interessante targato Netflix, “Messiah” è una serie con un plot universale e di forte impatto, che tocca temi come il conflitto tra fede e ragione, la religione e la politica tenendo quasi sempre ben alta la tensione. Cosa accadrebbe se in un’epoca come la nostra, piena di falsi profeti e fake news, comparisse improvvisamente un ambiguo messia?
Dopo “Miracles”, che pure come si intuisce dal titolo si occupava di argomenti similari, il regista e sceneggiatore australiano Michael Petroni confeziona una storia di ampio respiro che sa conquistare un pubblico trasversale.
Il protagonista è interpretato da Mehdi Dehbi nei panni di Al-Masih, ragazzo che compare dal nulla in Siria per compiere, a suo dire, la parola di Dio. Proclama salva una Damasco assediata dall’Isis e una tempesta di sabbia mette in fuga i terroristi. Mentre i suoi proseliti aumentano giorno dopo giorno il governo americano comincia a dubitare di un suo legame con il terrorismo. Il messia accompagna duemila palestinesi al confine con Israele e poi compare in Texas salvando una chiesa da un incendio.
Eva Geller (Michelle Monaghan) lavora per la CIA, ha da poco perso il marito e ora si ritrova ad indagare sul presunto messia. Accanto a lei l’ottimo Tomer Sisley interpreta il ruolo di Aviram, agente israeliano.
Sarà il reverendo Felix Iguero con la sua famiglia ad accompagnare a Washington Al-Masih, assecondandolo in tutto e per tutto. Ma ben presto riceverà in cambio una cocente delusione…
Un Messia in tuta Nike e in diretta sui social
Dopo le prime puntate che si prestano perlopiù a far entrare lo spettatore nel mood e nei canoni della storia, la serie si fa via via più incalzante fino all’epilogo che incolla al divano e impenna l’hype per la seconda stagione (di cui al momento non si ha alcuna notizia ufficiale), resa più che probabile dall’ottimo riscontro ottenuto dalla prima.
Tutte le potenzialità dell’idea di base non sembrano utilizzate al meglio nella prima metà della stagione, spesa a caratterizzare il più possibile i numerosi personaggi di primo piano e le loro vite tormentate.
Al giro di boa della quinta puntata la spettacolarità aumenta e la trama si fa sempre più avvincente, anche grazie ad un ottimo uso degli effetti speciali. Altro punto forte è l’ambientazione contemporanea in Medio Oriente e negli Stati Uniti d’America. Nell’epilogo finale sono volutamente molteplici le questioni lasciate aperte, tanto inerenti il Messia quanto ad esempio Eva Geller. Di che religione sia o in nome di quale Dio parli e agisca Al-Masih non è dato ancora sapere (e forse non lo sarà mai).
Ad ogni modo un messia enigmatico in tuta Nike, postato e messo in diretta costantemente sui social network non poteva non funzionare. Anche grazie all’ottima regia di Jason McTeigue e Kate Woods, alla fotografia di Danny Ruhlmann resa in post-produzione con colori poco saturi, al gran lavoro sulle location e al tocco di realismo in più dato dal mancato doppiaggio della lingua araba.