Un divano a Tunisi, trama e recensione


Un divano a Tunisi – La psicanalista Selma (Golshifteh Farahani) dopo diversi anni torna da Parigi nella sua Tunisi, principalmente perché pensa che “nel suo paese c’è molto da fare” per aiutare la sua gente dopo la caduta del regime, datata 2010. Apre così il suo studio in città ma dopo un po’ un inflessibile poliziotto (Majid Mastoura) le intima di chiuderlo in quanto sprovvista di regolare licenza. Intanto però il suo divano è diventato troppo importante per i tunisini e Selma non si arrenderà.

Un divano a Tunisi, recensione

Manele Labidi dirige “Un divano a Parigi” raccontando una pagina di storia che ha lasciato un popolo senza punti di riferimento. Il registro scelto è quello della commedia garbata per far ridere e riflettere su luoghi comuni radicati. Come sono ad esempio quelli che sostengono che Selma, venendo dalla Francia, non possa girare in un’auto tanto sgangherata né pettinarsi come una qualsiasi tunisina. I suoi connazionali non riescono a capire perché sia tornata, non se ne capacitano al punto di riuscire ad instillare il dubbio anche dentro di lei. Selma, dal canto suo, subisce pazientemente in silenzio i cliché e mostra una grandissima capacità di ascolto dei guai e delle fisime altrui. La sua psicanalisi in un primo momento lascia tutti perplessi salvo poi creare lunghe file fuori dal suo studio. È proprio ciò che è accaduto nella realtà dopo la rivoluzione tunisina, con il comprensibile successo di questa disciplina.

Tecnicamente assistiamo a tante scene brevi e ritmate una dietro l’altra, con Mina che fa la voce grossa all’interno della colonna sonora con “Città vuota” e “Io sono quel che sono”. Non è un bene assoluto accostare il film alle commedie di Woody Allen come qualche quotidiano nostrano ha fatto. Si rischia così di creare aspettative irrealizzabili, anche perché il lungometraggio della Labidi intende innanzitutto sollevare questioni importanti con leggerezza, non risparmiando frecciate importanti al popolo tunisino. La regista firma una sceneggiatura fresca, serrata, vivace e capace di dribblare ovvietà come la storia d’amore tra Selma e il poliziotto.

I siparietti più comici scaturiscono certamente dall’alternarsi dei pazienti più disperati, che si raccontano senza filtri seduti o sdraiati sul divano. Tra di essi merita certamente una menzione il bravissimo Hichem Yacoubi, che interpreta un fornaio che viene poi ritrovato vestito da donna in un hammam.

Dalla visione emerge un ritratto sociale autentico, con un’attrice protagonista valida e un messaggio che invita col sorriso a guardare al futuro in maniera ottimistica. “Un divano a Tunisi” è in anteprima nelle migliori arene estive e da settembre nei cinema.

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