«Avrei voluto fondare un’associazione che portasse il nome di mio padre, ma finché non otterrò giustizia non potrò portare avanti questi progetti».
Sono passati 5 mesi da quando Marianna Ferrillo ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Oggi, in pieno agosto, non è arrivata nessuna risposta dal Quirinale. La storia di Marianna, 45 anni e madre di due figli, è quella di una donna che 35 anni fa ha visto sottrarsi il bene più grande. Il suo papà, quando lei aveva solo 10 anni, fu ucciso per errore dalla camorra a Licola Mare. Uno scambio di persona, che strappò Mario Ferrillo, noto impresario teatrale dell’hinterland partenopeo, ai suoi affetti.
A 35 anni di distanza, dopo aver scritto al capo dello Stato e finanche al Papa, Marianna – che seppe della tragedia solo qualche anno dopo («mi volevano proteggere da quel dolore. L’ho scoperto solo nel 1990, quando una mia amica mi convinse ad andare al cimitero dalla madre a Mugnano») – non demorde e chiede a gran voce di sapere la verità sul perché suo padre fu ammazzato da innocente, ma soprattutto perché a lei e alla sua famiglia lo Stato non ha ancora riconosciuto questo diritto»
Marianna Ferrillo «Voglio giusitizia per mio padre, vittima innocente di camorra»
«Voglio solo giustizia per mio padre, vittima innocente di camorra». Chiaro e forte l’appello che Marianna Ferrillo, figlia di Mario ucciso nel 1986 dai sicari della camorra che lo scambiarono per un boss. Un accorato grido d’aiuto che Marianna aveva affidato lo scorso marzo ad una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un appello che tuttavia fino ad oggi è rimasto inascoltato.
«Mio padre venne trucidato mentre si trovava nel negozio di un suo amico a Licola sul litorale domizio. I killer prima di sparare lo chiamarono Gennaro. Dopo un mese, nello stesso luogo, uccisero un certo Gennaro Troise, esponente malavitoso. Era lui il bersaglio e la loro somiglianza fisica portò i killer giorni prima a sbagliare persona, ma mio padre era un uomo perbene, mentre l’altro era un camorrista».
Una missiva mai letta dal diretto interessato, carica di dolore per una madre e donna che cerca ancora risposte. La lunga lettera si conclude:
«Nel suo discorso del 21 marzo, nella giornata della memoria delle vittime di mafia, Lei ha detto che ogni uomo ha diritto alla vita, la stessa che al mio papà è stata tolta. Mio padre nessuno me lo ridarà, ma per il dolore che è stato inflitto a mia madre e a tutta la famiglia chiedo giustizia». Quella giustizia per la quale Marianna non smette di lottare, nonostante il silenzio assordante delle istituzioni e annuncia: «Volevo far nascere un’associazione intitolata a papà. Ma tutto si è fermato perché sto conducendo questa battaglia. Una battaglia che devo vincere finché avrò vita, perché mio padre ha diritto ad avere giustizia».