Per la rubrica L’incontro abbiamo incontrato l’attrice Antonella Ferrari che sarà a Napoli il 15 dicembre al Teatro Cilea con il suo spettacolo ‘Più forte del destino – Tra camici e paillettes, la mia lotta alla sclerosi multipla’ tratto dal suo libro ‘Più forte del destino’ (ed. Mondatori).
Dal libro il uscito nel 2012 divenuto un best seller, allo spettacolo teatrale. Qual è stata la molla che l’ha portata sul palcoscenico? Voglia di condividere con il pubblico la storia oppure una esigenza personale nel dare speranza agli altri?
Io faccio l’attrice da vent’anni, sono nata in teatro e sono abituata a comunicare attraverso il teatro, certo è che in tutti gli anni scorsi ho fatto ruoli ben diversi da me, ho interpretato altre donne, in questo caso è stato molto bello trasformare il libro in spettacolo e portare sul palcoscenico non solo la mia storia ma anche la mia battaglia per questa malattia. Quindi è stata un’esigenza un po’ mia perché avevo voglia di provare a portare sul palcoscenico la disabilità, dall’altra anche il successo del libro mi ha permesso di capire che la gente era pronta per questo tipo di spettacolo. Sono due anni che sono in giro con ‘Più forte del destino’ e sta riscuotendo un successo che non mi aspettavo, sia per il libro che è diventato un best seller sia lo spettacolo che in ogni tappa sta registrando il tutto esaurito. Questo mi incita ad andare avanti e mi fa capire che il pubblico non è così spaventato dal dolore, anche perché le tematiche legate alla malattia ed alla disabilità sono trattate in modo estremamente ironico. E’ tutto tranne che pesante, molto ironico, che ti fa riflettere ma sorridendo.
Sul palco del Teatro Parioli a Roma a maggio 2016 con un cameo di Lorella Cuccarini. Che esperienza è stata?
Lorella la conosco da tantissimi anni, le avevo chiesto di fare questa cosa e lei per amicizia mi ha fatto questo regalo. Visto che nel mio spettacolo c’è una parte che parla del mio passato di ballerina e del mio amore per la danza, in quel frangente al Teatro Parioli c’è stata lei che compariva in scena, avevamo stravolto la scaletta dello spettacolo, compariva in scena come un sogno ed accennava a dei passi di danza con me sulla sua sigla famosissima che è ‘Io ballerò’. E’ stata una emozione fortissima perché non solo lei è un’amica ma perché è sempre stata un idolo della mia gioventù, io volevo diventare come lei, sognavo il palcoscenico come ballerina e lei era la mia musa ispiratrice, per cui coronare questo sogno colei sul palco è stato bellissimo.
Suo padre è scomparso nel 2010, citato nel libro come nello spettacolo. E’ difficile per un genitore accettare l’idea che suo figlio abbia problemi di salute. I suoi genitori come hanno reagito alla sua malattia ed alla diagnosi finale?
Nello spettacolo il finale è la parte dedicata a lui ed è la parte più commuovente perché è un saluto a mio padre. Non ho ancora digerito del tutto la sua scomparsa e visto che anche lui ha sofferto tantissimo, io lo racconto e parlo con lui come se lui fosse lì, anche perché io lo sento sempre presente.
Per la mia malattia la diagnosi è arrivata con venti anni di ritardo, il primo ricordo in ospedale l’ho fatto all’età di dieci anni mentre la diagnosi è arrivata a ventinove anni. In questo anni abbiamo girovagato tra medici ed ospedali e la mia famiglia ovviamente ne soffriva molto. Io ho preso da mia madre che ha un carattere molto forte, per cui è sempre stata il pilastro della famiglia che cercava di sdrammatizzare anche durante i ricoveri in ospedale tentando di farmi trascorrere le giornate in modo sereno, mio padre che è sempre stata più chiuso, più timido di carattere, ha sofferto tantissimo. Hanno sofferto tutti e due, su di lui si vedeva di più, perché faceva fatica a mascherare il dolore come invece lo mascherava mia mamma. In realtà quando lui si è ammalato, per sedici anni tra tumore, ictus, mia madre in un momento di disperazione, senza colpevolizzarla perché adesso so che nei momenti di disperazione si dicono cose forti, lei aveva detto. ‘Guarda come si è ridotto tuo padre per le preoccupazioni relative alla tua malattia’. Io ho vissuto per tanti anni un senso di colpa, come se la malattia di mio padre fosse causa mia, invece per fortuna sono riuscita in qualche modo ad elaborare questa cosa ed a capire che non era colpa mia, quando è morto io gli ho chiesto sottovoce ancora una volta scusa. Lui soffriva molto più per me che non per sé stesso, lui ha sofferto tantissimo ma ha avuto una dignità nel dolore, non si è mai lamentato, è stato un uomo fantastico perché mi ha insegnato la dignità nel dolore, mentre per me lui era disperato si preoccupava tantissimo. Idem io ero disperata per lui ma sono molto più forte per la mia malattia. Alla fine ci consolavamo a vicenda, io facevo forza a lui e lui a me.
Per anni lei ha detto che è stato un pellegrinaggio continuo tra i medici: a partire dagli undici anni, con diagnosi a 29 anni, cioè nel 1999. Quando iniziò la sua sintomatologia negli anni 80 la malattia non era stata ancora scoperta del tutto. Alla luce della sua esperienza quale pensa sia il peso della ricerca scientifica e delle diagnosi precoce?
Anche negli anni novanta non era così conosciuta, non c’era una risonanza magnetica così dettagliata come c’è adesso. Oggi la diagnosi è pressoché immediata, chi ha avuto la diagnosi negli anni novanta ha dovuto purtroppo molto spesso trovarsi di fronte a medici miopi, anche se anche all’epoca con l’anamnesi e con la storia clinica del paziente si poteva già ipotizzare la sclerosi multipla. Il peso della ricerca è assolutamente un peso enorme, è molto importante comunicare, io sono l’unica in Tv che va parlando di Sclerosi Multipla, ovviamente sono la madrina di AISM e ce l’ho ed è ovvio che ne parli, ma se ne parla ancora troppo poco. E’ importante visto che colpisce soprattutto i giovani ed in particolare le donne, parlare di Sclerosi Multipla e continuare con la ricerca, perché grazie ad essa oggi la diagnosi è immediata e si hanno delle terapie per la forma recidiva antiremittente che è la forma più comune di Sclerosi Multipla, che purtroppo non è quella che ho io perché io sono già in secondari a progressiva, ma per la forma comune ci sono dei farmaci che addirittura arrestano il processo di peggioramento quindi non si arriva all’invalidità grave. Sicuramente la ricerca è da finanziare facendola lavorare, infatti io per quel piccolo aiuto che posso dare parte del ricavato del libro va all’AISM e l’intero ricavato di moltissime serate dello spettacolo come quella di Napoli il prossimo 15 dicembre e di Salerno il 16 dicembre, andranno totalmente all’AISM, quindi alle sezioni locali che sono il cuore pulsante dell’associazione, sono quelle che ti permettono di ricevere tantissimi aiuti. Grazie a questo tour siamo stati supportati da Sanofi in questo modo possiamo donare l‘intero incasso, quindi aiutare concretamente l’associazione. Mi piace vedere che il mio piccolo contributo sia servito a qualcosa ed è bello vedere quanto lavoro fa questa associazione.
‘Io in equilibrio su una gamba sola, ma è più forte la voglia di volare che la paura di cadere’ , la sua è una vita vissuta sull’eterno equilibrio tra l’essere attrice e l’essere disabile ?
Purtroppo per colpa di come mi vedono gli altri, perché io mi sento attrice non mi sento attrice disabile, purtroppo in Italia vengo descritta come l’attrice disabile. Nel mio curriculum la parola disabile non c’è ma viene sempre fuori, perché molto spesso gli addetti ai lavori guardano più la mia cartella clinica che il mio curriculum. Questo mi dispiace perché io ho studiato una vita per fare seriamente questo lavoro, non mi sono improvvisata, non ho partecipato al Grande Fratello, con tutto il rispetto per chi ci partecipa. Mi spiace che la mia professionalità venga sminuita per il mio stato di salute. Io non sono un’attrice disabile, io sono un’attrice e mi si deve dare la possibilità di dimostrarlo. Nel mio spettacolo stare un’ora e mezza da sola in scena non è facile, è una grande prova d’attrice, il pubblico in questi due anni di tour mi ha detto di non essersi accorto del tempo che passava. Questi sono i complimenti più belli specie quando mi dicono ‘Ma sei proprio brava!’, per me è importante sottolineare la professionalità, io non vado sul palco perché disabile ma vado perché ho studiato per fare questo mestiere. In questo caso lo spettacolo parla della mia vita, ma ho fatto anche altri spettacoli dove la mia vita non era in gioco.
Questo suo spettacolo può essere uno sprono affinché il mondo dello spettacolo apra le porte ai professionisti anche se disabili?
Che apra le porte ma non ghettizzandoli, mettendoli alla pari con gli altri professionisti. A me piace molto quello che fa ‘Ballando con le Stelle’, che negli ultimi due anni ha preso ad esempio Giusy Versace e Nicola Orlando e le ha messe in gara alla stessa stregua degli altri. Non c’è stato un programma apposta per i disabili. La disabilità è entrata anche in un programma così noto come ‘Ballando con le Stelle’ ed è stato uno dei pochi esperimenti riusciti della TV Italiana. Averne programmi così dove non c’è strumentalizzazione ma uguaglianza.