L’incontro con Nello Mascia


Per la rubrica L’incontro abbiamo incontrato Nello Mascia in occasione della rappresentazione di ‘O vico’ di Viviani per parlare degli Attori indipendenti e per uno sguardo sul teatro napoletano.

Può spiegare il progetto degli Attori indipendenti?

 Il teatro è in crisi, lo sappiamo, è sempre stato in crisi.  Gli Attori Indipendenti è nato per la volontà soggettiva del fare, in un momento così difficile è inutile e controproducente piangersi addosso. Vediamo nel fare cosa succede, questa è l’idea di base. E’ evidente che quando si mettono insieme un gruppo di attori così riconoscibili la cosa diventa più potente, assume un valore diverso. E’ evidente che è una provocazione, contro questi carrozzoni mostruosi che sono i teatri nazionali, che mangiano solo soldi e non hanno nessun rapporto con la città, nessun progetto culturale serio. Siamo allegramente provocatori, non siamo quelli che sbattono i piedi per terra, anche perché sappiamo che non è un momento di rivoluzione, non è questo il momento della rivoluzione. L’unica rivoluzione che possiamo fare, e lo ripeto anche ai miei compagni, è fare spettacoli belli, già questo è un segno di distinzione.

 

La scelta di approntare lo spettacolo O Vico è la sottolineatura naturale al vostro progetto o c’è anche la volontà da parte degli splendidi attori di volersi cimentare con quest’opera?

Tutto è nato molto semplicemente senza grandi riflessioni, fra amici. La scelta è dipesa da un paio di circostanze. La prima è ‘Che fare?’ poiché si doveva dare spazio a tutti, quindi un pezzo corale, io ho pensato a questo testo dove ce n’è per tutti. Oltretutto è il primo testo che ha scritto Viviani, lo ha scritto in un momento difficile della sua vita, all’indomani di Caporetto, quando il governo dell’epoca vietò gli spettacoli di varietà perché non si doveva ridere, era disdicevole ridere dopo quella tragedia.

Così lui si inventò questa cosa, dicendo di fare uno spettacolo teatrale, che è in luce tutta la sua produzione futura, ma è anche tutta la sua esperienza passata. Era giovanissimo era il 1917, lui nato nel 1888 aveva ventinove anni.

Testo quanto mai attuale, sembra che il tempo sia rimasto sospeso in questo empasse sociale e culturale. Quanto costa oggi al teatro questo empasse sia per i professionisti che per la cultura?

E’ un periodo devastante, che sta durando da 25/30 anni. Neanche Craxi era riuscito a fare queste devastazioni. Non ci risolleveremo più, io vedo una grande difficoltà  a risollevare le sorti culturali di questo paese, perché è devastato. Lo constatiamo non soltanto vedendo i cartelloni teatrali ma anche nei comportamenti quotidiani di tutti quanti noi.

Lei in una intervista ha parlato di eredità attoriale in pericolo per quanto riguarda Eduardo. Di Viviani lei ha commentato che nessuno sa cosa significhi. Ecco oggi forse Viviani diventa sempre più difficile da rappresentare perché ci vuole una completezza professionale tra recitazione, canto, ballo. Forse è questa preparazione che manca o la scarsa attenzione verso questo autore?

Entrambe. Il problema attoriale è grosso, è difficile condensarlo in poche parole. Per fare Viviani, occorre una esercitazione costante, ma non solo specifica sul testo e sull’autore, ma una preparazione a 360°. Oggi si è persa. Una volta l’allievo attore, imparava la cadenza metrica, cioè come si parla musicalmente. Viviani è questo, anche nelle battute, che non sono i suoi famosi melologhi, ( Melologo: è un genere musicale nato nel XVII secolo che unisce la musica con il parlato, n.d.r.). Anche le battute normali hanno sempre questa scansione musicale. Tra l’altro ci sono anche altri autori napoletani che si devono recitare in un certo modo, come Eduardo De Filippo. Non c’è più un attore giovane che sappia fare quella roba lì. Recitare Eduardo e Scarpetta è diverso, eppure sono padre e figlio, in uno c’è la recitazione del quotidiano che adesso è svilita nella recitazione ‘a c…o di cane’, non è quello Eduardo, invece Scarpetta è una sorta di epicizzazione della macchietta, vallo a trovare!

 

Come si può tutelare il nostro patrimonio attoriale, per trasmetterlo integro e puro come a noi lo insegnarono i nostri maestri?

Si dovrebbe creare un’istituzione, un istituto, una casa nella quale questa roba venga costantemente esercitata. Si è perso l’artigianato.

 

Lei può definirsi l’unico Vivianista cui ha dedicato tanti anni della sua carriera anche per l’impegno con la sua Cooperativa Gli Ipocriti ed il Teatro delle Arti. Questo suo impegno quanto le è costato dal punto di vista personale?

Nulla, mi ha fatto solo piacere. Qualcuno all’epoca quando decisi di abbracciare questo autore mi rimproverò dicendomi che ero uno stupido, perché invece di fare Viviani avrei potuto fare autori più commerciali, diventando più famoso. Non ho rimpianti.

 


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