L’incontro intervista con Vittorio Contrada in occasione del vernissage Andare oltre.
In occasione della Mostra ‘Andare oltre’ del maestro Vittorio Contrada curata da Daniela Ricci, svoltasi dal 31 maggio al 25 giugno al Castel dell’Ovo di Napoli abbiamo colto l’occasione per porre qualche domanda al maestro.
Nelle opere in mostra tra le quali alcune degli anni settanta si può osservare oltre alla pennellata vigorosa che la caratterizza, una scelta cromatica con colori più incisivi. Come mai questa scelta cromatica?
Negli anni settanta attraversavo un periodo brutto della mia vita, quindi i colori erano più cupi anche perché la scelta di tanti colori come oggi non c’era. Con le novità moderne dei colori ne abbiamo una vasta gamma, con prodotti di tutti i tipi, infatti nei miei quadri ci sono anche dei colori metallici come l’oro l’argento, l’acciaio, il bronzo, colori che all’epoca era impossibile da realizzare. Questa possibilità del moderno io l’ho abbracciata e mi sono goduto anche questa possibilità, perché nel dipingere poi si cresce con la pittura, cresce il bagaglio culturale interiore e quindi si trasmette qualcosa di più sulla tela. Il fatto è che io prima usavo molto il verde ed il rosa, quasi i miei colori scelti, quel rosa pallido che era quasi uno spiraglio di libertà che io intravedevo ma non avevo, invece adesso posso usare tutti i colori e li uso a seconda del soggetto che vado a dipingere. Se è un soggetto che mi dà speranza per il futuro uso dei colori più morbidi, più allegri, se parlo della morte che fa parte della vita i colori sono come il viola, non si può dipingere un soggetto o un tema allegro con colori tristi, i colori accompagnano anche i contenuti. Per avere un’opera buona bisogna che sia i contenuti che forma vadano di pari passo, perché quando il contenuto è buono dipende solo dalla cultura, dalla sensibilità e dalle idee che noi abbiamo che si susseguono. Queste idee nella nostra mente le andiamo a realizzare con delle possibilità che abbiamo che sono le nostre possibilità, che non sono sicuro che siano solo queste, può darsi che cresco ancora. Significa essere veri, come quando dico che il pittore deve essere vero non deve cercare di essere qualcun altro. Questa mia pittura mi accompagnerà fino alla fine ma quello che ha detto lei è una cosa bellissima, che la spatolata, la grinta, l’aggressione verso il supporto ci sta ancora. Poi i colori adesso io li unisco ma all’occhio dello spettatore però sono divisi, sono molto divisi, prima invece venivano un po’ mescolati perché avevo paura di dividerli, dovevo dare un po’ di impressionismo al mio espressionismo.
Un altro elemento che la caratterizza sono le donne, che la ispirano, che sono il suo mezzo espressivo. Come mai proprio la figura femminile? Perché è morbida, piena di linee curve o c’è qualcos’altro?
Ma che ci sta più bello della donna? Come si fa a non innamorarsene? Mi domando come ci si possa innamorare di un cilindro, di una ringhiera seppur fatta benissimo, io non mi innamorerei mai, direi: ‘Sì è un bel disegno, un bel quadro’ , ma per poter discutere, fra l’artista che ha dipinto e lo spettatore che si innamora nasce un matrimonio e quel matrimonio è dovuto al pensiero che trasmette il quadro, altrimenti sono sempre cose separate e chi si innamora di un quadro ha anche una vena artistica.
Un feeling diretto col maestro, quindi.
Sì ci unisce la sensibilità. Cioè questo piacere di vedere oltre. Per questo io dico che non vi dovete limitare alla figura, cercate di capire questa figura che cosa vuol dire.
Andare oltre è il titolo di questa mostra. Lo sprono di vedere al di là della tela. Lei adesso, con tutta la sua esperienza, c’è qualche messaggio che vuole lasciare, insegnare, sollecitare alle nuove generazioni di artisti?
Ai giovani artisti quello che consiglio è di essere sé stessi, essere come sono, senza avere paura di niente, perché se vengono accettati perché piacciono è una cosa buona, se non vengono accettati perché non piacciono io dico sempre : ‘non cercate di dipingere come vi hanno insegnato, siate voi stessi’. Se prendiamo ad esempio il grande Van Gogh dovette sudare sette o otto camice e dimenticare tutto quello che gli avevano insegnato per dipingere qualcosa che lui sentiva. Divenne importante quando dipinse in quel modo, perché all’inizio nessuno lo accettava. La verità è che ‘ai posteri l’ardua sentenza’, noi possiamo dire se mi piace o non mi piace, possiamo dire ‘ questo mi emoziona’ uno il quadro se lo gode. Lei ha detto una cosa bella, perché molti comprano per investimento, io credo che sia la cosa più sbagliata, l’investimento vero è quando uno se lo gode il quadro, se lo appende, se lo guarda.
Cosa pensa riguardo l’arte contemporanea ?
L’arte contemporanea, per esempio l’astratto, c’è dell’astratto nei miei quadri, però io confesso, non riesco ad allontanarmi dalla figura, la torturo in tutti i modi, ma la figura mi accompagna. Mi dicono che ho un pò di cultura classica, però sono convinto che l’astrattista ci deve arrivare a diventare astrattista. Noi abbiamo dei grandi pittori astrattisti, abbiamo avuto Fontana che faceva il taglio della tela, quel gesto era la sintesi della sintesi, della sintesi, di tutti i suoi pensieri. Quindi al concetto dell’astrattista che nasce come astrattista io non ci credo, come il naif, che è uno che non conosce le proporzioni, non è uno che esce dall’accademia e poi fa il naif, è falso, non è vero, perché essere vero significa non accettarsi.
Ci sono dei riferimenti artistici e culturali che l’hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?
In genere i pittori, parlo per me ma credo anche per altri, dipingono i No della vita non i Sì, perché i Sì se li prendono e se li godono, quindi difficilmente li dipingono. Quelli che mi hanno formato molto sono stati i NO della vita, parlo delle disavventure, dei dolori, molto forti anche. Se leggete sul sito o su Youtube saprete la mia storia, io sono andato in crisi perché ho perso una figlia giovane che era pittrice anche lei, doveva seguire il mio lavoro. Poi abbiamo cambiato i codici, che noi siamo tutti preparati a sapere che perderemo i genitori, difficile capovolgere quella corazza che ci creiamo, quando si è rotta difficilmente ve la rimettete, ed io ho avuto un momento di fermo, e mi sono dedicato alle maschere, alla creta. Poi ho dovuto dipingere perché ho capito che mia figlia che io proteggevo qui è diventata talmente grande che mi vede a me piccolo, piccolo ed ora lei che protegge me.
Una domanda sul quadro intitolato ‘Rivalità’, come mai la scelta dei cavalli?
Per il tema della rivalità ho preferito i cavalli, sarebbe stato troppo semplice raffigurare persone, perché anche gli animali si innamorano, si ingelosiscono e vogliono unirsi con l’altro animale che è piaciuto.
Fonte foto: Pasquale Fabrizio Amodeo